Musica contemporanea, contatto imminente

A colloquio con il compositore e direttore Flavio Emilio Scogna, alla guida dell’Ensemble Contemporaneo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sin dalla sua creazione, e ideatore del festival “Convergenze” di Valentina Lo Surdo

La musica contemporanea rappresenta un pianeta ancora remoto per molti appassionati ascoltatori. Colpa di un’educazione musicale poco incline a uscir fuori da sentieri seminati decenni fa (persino i programmi ministeriali dei Conservatori si fermano entro i confini di una musica contemporanea agli anni Trenta del secolo scorso); colpa di consuetudini culturali che ci portano sempre più distanti dalla musica classica in generale. Ma in parte anche colpa proprio “sua”, della musica colta, spesso lontana dal grande pubblico, chiusa in un accademismo poco incline a compromessi che facciano di necessità virtù: la virtù di una risorsa espressiva e culturale insostituibile, la necessità di riconciliazione con un vasto pubblico.

Sulla base di motivazioni come queste nasce nel 2006 l’Ensemble Contemporaneo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: al fine di dare un palcoscenico permanente alla divulgazione della musica contemporanea, risalendo dai capolavori del Novecento storico sino a raggiungere le estremità di un organismo composito e vitalissimo, formato dai giovani compositori italiani, europei, americani, asiatici. L’attività di questo gruppo, che auspica di assumere sempre più le proporzioni di un laboratorio permanente – non dimentico di quanto fece un certo Pierre Boulez costituendo a Parigi nel 1976 il mitico Ensemble Intercontemporain – confluisce nel festival “Convergenze”. Collocato nei primi mesi del nuovo anno del calendario ceciliano, ideato dal direttore dell’Ensemble, Flavio Emilio Scogna, si apre il 26 febbraio con l’esecuzione del “Pierrot Lunaire” di Arnold Schoenberg. Al suo fianco trova sede l’esecuzione di un brano attuale, in prima esecuzione romana, del compositore Michele Dall’Ongaro, “Mise en abyme”. Mostrando il senso di un’identità culturale in cui riconoscersi, nell’orizzonte di un passato vicino al presente che si è scelto.

Maestro Scogna, come valuta l’iniziativa di costituire un ensemble contemporaneo da parte dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia?
Che un’istituzione di questo livello e fama si sia impegnata nella creazione di una propaggine di musicisti validissimi e motivati dediti alla musica di oggi è un fatto importante, che lascia il segno. Inoltre non va trascurato un altro aspetto: la costituzione di gruppi da camera in seno a un complesso sinfonico rappresenta un’autentica fonte di ossigeno per una grande orchestra. Onore al merito per tutto questo al presidente Bruno Cagli, che si è impegnato in prima persona nel far prendere corpo reale a questa idea, su cui cominciammo a confrontarci già una decina di anni prima della nascita dell’Ensemble, sin da quando nel 1997 diressi un concerto dedicato a Bruno Maderna.

Qual è l’obiettivo artistico principale della vostra programmazione?
Offrire al pubblico un approccio alla musica di oggi che sia preparata con la massima professionalità e profondità. L’Ensemble è stato formato con l’intenzione di divulgare la musica del Novecento storico e di oggi non con un intento specialistico, ma con l’attenzione, la cura del dettaglio che sono proprie della grande musica. Dunque al gruppo è affidato un elevato numero di prove e un occhio di riguardo nell’ambito della programmazione generale, esattamente come se si trattasse del repertorio tradizionale. E non con quella mentalità d’approccio un po’ sotto gamba, con un senso di estemporaneità, spesso ravvisabile nella sua preparazione, che non ha nulla da spartire con il significato della musica contemporanea. Ecco, noi auspichiamo di mettere in condizione l’ascoltatore di poter recepire al meglio le partiture proposte, di portarle in palcoscenico al maggior grado di vicinanza rispetto al loro intento creativo originale.

Ci può dare qualche anticipazione sulla sua personale visione del “Pierrot Lunaire”?
A proposito della serietà con cui si affrontava un tempo la musica contemporanea basti ricordare che nel 1912, in occasione della prima esecuzione di questo brano, Schoenberg organizzò venticinque giorni di prove per il suo ensemble! Senza arrivare all’utopia di una lavorazione così microscopica, vorrei rendere il più vivo possibile l’intento schoenberghiano, ricreando l’aspetto fantasmagorico e visionario di questa musica, che può essere considerata la più tipica rappresentante dell’espressionismo musicale. Ma realizzarne anche il tono sarcastico, così ricco di finezze timbriche; e il senso di cabaret, di rappresentazione drammaturgica che va ben oltre il melologo.

E poi c’è il pezzo di Dall’Ongaro.
Un pezzo denso, complesso da un punto di vista strutturale, scritto per un organico simile a quello utilizzato da Schoenberg. Un confronto tra ieri e oggi immediato, com’è nello spirito di “Convergenze”, dove trovano spazio tanti compositori nuovi e nuove composizioni.

Lei che ha diretto più di 250 prime esecuzioni assolute, come giudica il rapporto del pubblico all’ascolto di queste nuove partiture?
È vero, si dice tanto della difficoltà di approccio alla musica contemporanea. Ma la verità è che i concerti di “Convergenze” sono sempre affollati! Il pubblico va educato, sensibilizzato…e fortunatamente siamo riusciti a suscitare l’attenzione di un pubblico adatto, formato da giovani, da studenti, sostenuto dal mondo delle scuole. La musica contemporanea ha bisogno del pubblico di oggi…perché la musica deve percorrere parallelamente il sentiero del tempo in cui essa vive.

Prossime “Convergenze”?
Il 23 aprile dirigerò un concerto dedicato ai compositori scandinavi, mentre il 15 maggio sarà di scena un grande protagonista di oggi come l’austriaco Gruber.

20 febbraio 2009

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