Paolo Fresu racconta “Mare Nostrum”

Il progetto del famoso trombettista verrà presentato il 14 maggio all’Auditorium di Roma, con Richard Galliano e Jan Lundgren di Concita De Simone

L’espressione “Mare Nostrum”, voluta dai Romani per il mare Mediterraneo, evoca sempre il ricordo di un antico crocevia di popoli, culture e tradizioni. Quel posto attraversato da milioni di persone, tra navigatori, santi e poeti, dove però ognuno si sentiva a casa.

Questo anche lo spirito di un progetto originale che verrà presentato mercoledì 14 maggio alla Sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma.

Il trombettista Paolo Fresu, il fisarmonicista Richard Galliano e il pianista Jan Lundgren: tre artisti di fama mondiale, tre paesi di provenienza: Sardegna, Provenza e Svezia, tre differenti strumenti: tromba, accordeon e pianoforte, tre mondi che si incontrano per dare vita a una musica dalle sonorità intriganti e nuove. Tre album che nasceranno da questo incontro. Il primo è appena uscito per la Act.

Melodie e stili differenti, proposti in chiave jazz, il genere che, per eccellenza, è portato a mescolarsi con altre culture musicali. La canzone francese (rappresentata da un brano intramontabile di Charles Trenet), il folklore svedese, l’espressionismo di Maurice Ravel, gli standard brasiliani di Tom Jobim e Vinicius De Moraes, così come le composizioni originali, si fondono in un’esperienza sonora unica e affascinante, con il risultato di una miscela di jazz proiettato a un futuro prossimo.

Nel trio il grande virtuoso della fisarmonica Richard Galliano, da tutti riconosciuto non solo come l’erede di Piazzolla, ma come un grande musicista capace di creare un suo linguaggio musicale, tra il jazz e la tradizione mediterranea, in grado di sdoganare fisarmonica e bandoneon dal circuito della musica popolare per elevarli al rango dell’orchestra sinfonica di impronta classica. Jan Lundgren è invece un talento del pianoforte la cui gamma musicale incorpora le influenze contemporanee della musica classica e della canzone tradizionale svedese così come l’esteso vocabolario del jazz. E poi c’è Paolo Fresu (www.paolofresu.it), 25 anni di carriera su 47 di vita, passati tra Berchidda nella provincia di Olbia Tempio, dove ha imparato a suonare la tromba nella banda del paese, Bologna, dove ha studiato, e Parigi, dove si è affermato come musicista. Un palmares di grandi premi internazionali e collaborazioni importanti; un presente immerso nel “Mare Nostrum” che ci racconta in esclusiva per noi mentre si sta imbarcando su un aereo che lo porterà a Madrid per un concerto a Palma di Maiorca.

Paolo, chi meglio di te può parlare di Mare Nostrum? Che rapporto hai con il Mediterraneo?
Veramente ho un pessimo rapporto con il mare perché non so nuotare. Non sono un “acquatico”, ma sono nato in un’isola e allora ho un rapporto più carnale, più poetico con il mare. Direi che mi piace immergermi con la mente e non con il corpo. Perciò spesso il mare torna nelle cose che scrivo.

Perché quando si parla di grandi musicisti non serve affiancare al nome la provenienza ma quando si parla di Paolo Fresu si specifica, in più parti, che sei sardo?
È vero, questa cosa succede spesso, ma non mi dispiace. Vengo da una cultura contadina, ho imparato prima il sardo poi l’italiano. La Sardegna è oggi uno dei pochi luoghi con una grande cultura identitaria, che conserva lingua e tradizioni sue. Essere sardi è diverso da essere torinesi, ma il mio non è campanilismo, anzi, io sono un assertore della condivisione. La cultura va messa a disposizione: è questo il senso della cosmopoliticità. Essere sardi, per me, è un modo di essere planetari. Siamo circondati dal mondo.

Quando hai incontrato musicalmente Galliano e Lundgren?
Galliano molti anni fa, ci stimavamo reciprocamente. Conoscevo invece Lundgren solo dai dischi. Poi il suo produttore, René Hess, ha pensato di farci incontrare artisticamente. Così abbiamo fatto alcuni concerti in Scandinavia e il sodalizio ha funzionato. Poi siamo arrivati a Udine per registrare il disco che è già uscito. Cercavamo un nome per il progetto è abbiamo scelto il titolo di una composizione di Lundgren “Mare Nostrum”, ma non gli abbiamo mai chiesto perché avesse composto un brano con quel titolo, lui che è svedese. A gennaio registreremo un secondo disco. Prima di arrivare a Roma, saremo a Palma di Maiorca, poi in Germania, poi a Salerno e Cagliari. La cosa curiosa è che molti ascoltatori non sanno neanche cosa sia il Mare Nostrum, ma il progetto, che è molto raccolto, cameristico, direi, interessa, la musica ha una sua forza espressiva ed evocativa che coinvolge tutti.

Nell’album “Mare nostrum”, c’è un brano ispirato alla poesia del poeta turco Nazim Hikmet “Forse la mia ultima lettera a Mehmet”, un testo denso di pathos e struggente. Perché questa scelta?
Perché amo molto questo autore. L’ho tradotto anche in sardo e l’ho usato già nel mio disco “Metamorfosi”. Il trinomio letteratura, poesia e musica mi ha sempre affascinato. Il messaggio è la bellezza poetica, non si sono altri obiettivi.

Hikmet ha anche scritto “Il più bello dei mari è quello che non navigammo”. A proposito di “Mare Nostrum” e jazz, cosa ti piacerebbe ancora raccontare?
Tutto, tutto! Il mare è enorme, ci vorrebbero molte vite per raccontarlo. Amo il viaggio, la scoperta, il concetto della distanza e dell’intercutlura. Sono invaghito dell’Africa. Vado spesso in Tunisia in Algeria, così come in Grecia. Comincio ad avere molti amici di varie provenienze da cui cerco di assorbire tutto quello che posso. Mi piace indagare nelle culture del mediterraneo. Non c’è un altro mare così affascinante.

9 maggio 2008

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