Poeta, scrittore e cantante: Sergio Caputo si racconta
Il cantautore romano torna nella capitale con due serate al “The Place”. Presto alcuni brani inediti del “Folk Studio” in versione rimasterizzata di Concita De Simone
Per quelli che negli anni Ottanta “Un sabato italiano” si avventuravano nella “Roma felliniana” pensando “La notte è un dirigibile che ci porta via lontano”. E per quelli che invece erano nati da poco, e “Il Garibaldi innamorato” era solo un personaggio buffo da canticchiare. Per tutti, torna a esibirsi in Italia Sergio Caputo, autore, compositore, musicista e interprete di successi senza tempo, vuoi per le rime geniali o per lo swing accattivante, che oggi alterna i concerti nel Belpaese all’esilio californiano iniziato nel 1999.
A Roma, sua città natale, sarà al “The Place”, in uno speciale doppio live il 18 e 19 novembre. Qui Sergio Caputo riproporrà i suoi grandi successi con una veste sonora modernizzata, accompagnato da Mauro Beggio alla batteria ed Edu Hebling al basso.
Figlio artistico del “Folk Studio” – quello che ha sfornato tutta la generazione dei grandi cantautori romani, da De Gregori a Venditti passando per Baglioni – fin da subito si è distinto per il suo uso insolito e innovativo del linguaggio letterario. Basti pensare che oggi i suoi testi vengono proposti agli studenti di varie università nostrane e straniere come esempio di poesia contemporanea italiana.
Precursore anche delle moderne tecnologie, è stato tra i primi artisti a diffondere un suo brano inedito esclusivamente on line: “Bibidin babidin bibidi boom”, del 1999. Oggi il suo sito (www.sergiocaputo.com) è tradotto in 4 lingue e se si consulta la sezione degli appuntamenti del suo Myspace, si scopre che il 5 dicembre sarà a Pechino all’Istituto di Cultura Italiano.
A 25 anni di distanza dal suo primo grande successo, “Un sabato italiano”, è naturale chiedere: come sono cambiati i sabati italiani musicali in questo periodo?
Non sono cambiati molto, anche perché, a livello musicale, spesso tornano alternativamente gli anni Settata e Ottanta. In California, dove vivo, ci sono intere radio dedicate alla musica di quel periodo, e gli ascoltatori hanno sui quindici anni, non sono dei nostalgici. La musica si rifocilla continuamente con le cose del passato. A livello di costume invece, mentre a quei tempi il sabato rappresentava il giorno in cui si poteva far tardi perché l’indomani non si lavorava, mi accorgo che oggi anche durante la settimana la gente è più disponibile. Probabilmente sono cambiate più le abitudini che non la musica!
Cosa ricordi dei tempi del “Folk Studio”?
Era una cantina piccolissima, con una pedana. Ma era un posto affascinante perché ci si andava come pubblico e si veniva tirati sul palco. A proposito, vi anticipo una cosa… È nata da poco e non l’ho ancora rivelata a nessuno: sto lavorando alla rimasterizzazione di alcuni brani inediti ritrovati dal mio contrabbassista di allora, tra i pezzi eseguiti durante le prove al “Folk Studio” e ancora inediti. È stata una sorpresa anche per me. Sono delle registrazioni originali di quasi 30 anni fa, brani primitivi ma che hanno già una loro maturità nell’ambito della musica che facevo all’epoca. Sicuramente li metterò sul mio sito, poi vedremo che altro farne.
Sergio, tu sei stato un immigrato in California. Come ti sei trovato?
Ormai sono un cittadino californiano, ma, proprio per esperienza personale, ammetto che l’immigrazione non è facile per nessuno. Si trova sempre una certa diffidenza, soprattutto quando all’inizio non parli bene la lingua. Con il tempo si imparano ad assorbire le difficoltà. Comunque, questa esperienza mi ha insegnato l’importanza della tolleranza per tutti. Sono sempre stato affascinato dall’America, soprattutto musicalmente. Per noi italiani il jazz, lo swing, il blues, erano musiche d’importazione, e quindi è stato come ritrovare le mie radici.
Un po’ come tutti i grandi artisti che si concedono a piccole dosi, potresti fare il tutto esaurito anche in grandi spazi, invece ami suonare più spesso nei piccoli club, perché?
Perché mi ricordano i luoghi dove io andavo a sentire i miei miti del jazz, come Lester Bowie o Path Metheny. Il concerto al “The Place” sarà divertente perché è in trio, una formazione che ho già sperimentato e che mi piace. Un trio mobile, libero, improvvisiamo molto, come si fa nel jazz. Proporremo i brani che ritrovano la loro essenza, cioè così come sono nati.
Che effetto ti fa essere riconosciuto nel mondo come un moderno poeta italiano?
È interessante. È stato anche uno stimolo per scrivere il mio primo romanzo, “Disperatamente (e in ritardo cane)”, edito da Mondadori, un lavoro cui tengo molto. Non lo considero il solito libro scritto da un personaggio che ha una certa visibilità, una cosa occasionale, insomma, ma il primo romanzo di un nuovo scrittore. Ritengo la scrittura la mia seconda carriera, per questo continuerò a scrivere romanzi.
14 novembre 2008