Speranza affidabile da vivere per l’altro
La nuova enciclica, “magna charta” sulla seconda virtù teologale di Angelo Zema
Quarantadue domande sono contenute nell’enciclica «Spe salvi». Nell’approccio del Papa teologo (che, tuttavia, nel documento è profondamente unito a quello del pastore), buona parte sono utilizzate come strumento per introdurre la risposta, altre però restano scolpite per chi legge. Domande aperte ad una riflessione sulla propria vita, di fronte a questa seconda enciclica di Benedetto XVI che si presenta come una «magna charta» della speranza.
Un testo ricchissimo di spunti, da cui emerge un identikit della speranza cristiana. Speranza che è «affidabile», parola chiave del lessico di Benedetto XVI. «Affidabile», precisa già alla settima riga del documento, perché in virtù di questa speranza «noi possiamo affrontare il nostro presente». «Affidabile», ripete l’aggettivo nella seconda delle 77 pagine, riferendosi a quanto fu «determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l’aver ricevuto in dono» la «grande speranza».
Ma questa «grande speranza» «di che genere è?»: è la prima delle 42 domande che dicevamo. E traccia la via dell’appassionante itinerario contenuto nell’enciclica, fondato su alcune lettere di San Paolo (quasi una preparazione all’Anno Paolino) e permeato da citazioni dell’amato Sant’Agostino. Con alcuni punti chiave: la testimonianza della Bibbia sulla speranza; il rapporto con la fede; il tema della vita eterna; il carattere comunitario della speranza; la necessità del connubio tra fede e ragione; il fallimento di speranze puramente terrene in realtà dirette contro l’uomo e la sua libertà. C’è molto altro, sicuramente.
Come non sottolineare l’indicazione di grandi testimoni della speranza, che appare nell’enciclica? Una preziosa opportunità pedagogica, soprattutto per i più giovani. Gli esempi offerti – da Santa Giuseppina Bakhita, sudanese, al cardinale vietnamita Van Thuan, ma anche al martire Le-Bao-Thin, pure vietnamita – configurano la universalità della Chiesa e della concretizzazione della speranza cristiana vissuta come responsabilità per l’altro.
La parte finale dell’enciclica chiarisce che la speranza va appresa ed esercitata, e i «luoghi» in cui ciò possa essere fatto. A cominciare dalla preghiera, aspetto su cui Benedetto XVI sviluppa una breve ma intensa catechesi. Anche questa sezione, costellata di puntuali indicazioni, diventa essa stessa una domanda, per i cristiani che realmente vogliano interrogarsi sul modo di dialogare con Dio. Pregare non è uscire dalla storia. È imparare a cogliere cosa sia degno di Dio, a non chiedere «le cose superficiali e comode», è «purificare» desideri e speranze. È favorire una «speranza attiva», quella che tiene «il mondo aperto a Dio». E rende qui presente il suo regno. Ogni volta, in ogni luogo «dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge», là è il suo regno.
30 novembre 2007