Uomo di preghiera, del dolore e della speranza

L’editoriale apparso in prima pagina domenica 3 aprile, giorno successivo la scomparsa di Giovanni Paolo II di Angelo Zema

Un uomo di preghiera. Fino all’ultimo istante. Serenamente. Con la celebrazione della Messa, il pio esercizio della Via Crucis, la recita dell’ora terza, e l’ascolto di brani della Sacra Scrittura.

È la nuova testimonianza, anche vicinissimo alla fine della sua vita terrena, di quell’affidamento al Signore e alla sua Madre Santissima, rinnovato più volte da Giovanni Paolo II nel corso del suo pontificato. Fino all’ultimo, in occasione del secondo ricovero al Gemelli nel mese di febbraio: «Io sono sempre totus tuus», scrisse dopo la tracheotomia. L’ennesimo affidamento a Maria, con le parole del suo motto episcopale la cui scelta risaliva alla sua devozione mariana, profondamente radicata in Cristo. E radicata in Cristo è stata sempre la sua vita, soprattutto nelle esperienze dolorose che l’hanno contrassegnata. La perdita di tutti i propri cari fin da giovane («A vent’anni avevo perso tutti quelli che amavo»); l’attentato del 1981 in piazza San Pietro; i diversi ricoveri al Gemelli; la malattia che gli ha pian piano irrigidito i muscoli e compromesso alcune funzioni importanti.

La sua è fino all’ultimo una lezione della Croce, impartita dalla cattedra di Pietro. Anche quando questa è diventata il letto d’ospedale o quello della sua stanza in Vaticano. Alla Croce ha fatto riferimento nei momenti centrali della sua vita. E vi è tornato anche negli ultimi giorni con i suoi messaggi. «Ave, o Croce, unica speranza», ha scritto nel messaggio per la Via Crucis 2005, che per la prima volta al Colosseo l’ha visto assente. «Offro anch’io le mie sofferenze – ha aggiunto – perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti». La Croce per il Vangelo, per l’annuncio all’umanità, per la redenzione del mondo.
Proprio come aveva sottolineato nella sua lettera apostolica «Salvifici doloris»: «Sulla Croce sta il “Redentore dell’uomo”, l’Uomo dei dolori», che ha assunto le sofferenze di tutti «affinché nell’amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi». La Croce per la speranza. Una speranza che non si esaurisce con la morte. La frase di suor Faustyna Kowalska, apostola della Divina Misericordia (di cui oggi si celebra la festa) – «Sento chiaramente che la mia missione non finisce con la morte, ma inizia…» – lo testimonia bene. Giovanni Paolo II la citò nella Messa di beatificazione. Oggi la ripetiamo per lui. Nella preghiera, come ha insegnato a tutti. Pervasi da quella commozione e quella riconoscenza che si vive ora in tutto il mondo.

Grati per la vita che ha donato, in abbondanza, a noi – che abbiamo avuto il dono di essere presenti il 16 ottobre 1978 in piazza San Pietro e, sei giorni dopo, alla prima Messa del pontificato -, alla Chiesa e all’umanità intera. Un Papa grande. Uomo di preghiera, maestro della Croce e testimone incrollabile della speranza che salva.

3 aprile 2005

Potrebbe piacerti anche