Così i salesiani scoprirono l’eccidio nelle cave
A colloquio con don Francesco Motto, dal 1992 direttore dell’Archivio Storico Salesiano di Roma, che racconta come le comunità di San Tarcisio e San Callisto effettuarono la macabra scoperta di Angelo Zema
Sabato 25 marzo 1944, mattina. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è terminato da poche ore. Luigi Szenik, guida ungherese delle vicine catacombe di San Callisto, apprende della strage da una conversazione con due soldati tedeschi rimasti di guardia la notte alle cave. Un terribile segreto che condivide con pochissime persone nel complesso salesiano con le comunità di San Tarcisio, colonia agricola, e San Callisto, che ospita lo studentato e una comunità di guide. Nel primo pomeriggio, dopo la partenza per le loro case degli alunni esterni del San Tarcisio, don Giovanni Fagiolo, accompagnato dal chierico Giuseppe Perrinella e dal laico Enrico Bolis, decide di entrare nelle cave. I tre fanno la macabra scoperta. Con l’aiuto di una candela vedono i cadaveri, sovrapposti in più strati, coperti di pozzolana e terriccio: sono i 335 martiri delle Ardeatine, assassinati dai nazisti per rappresaglia dopo l’attentato partigiano che a via Rasella il 23 marzo (giorno in cui le camicie nere di Salò celebravano il 25° anniversario della fondazione dei fasci) aveva ucciso 33 soldati dell’11ª compagnia del Polizei-regiment «Bozen», aggregata alle SS.
«Così i salesiani scoprirono l’eccidio», racconta don Francesco Motto, dal 1992 direttore dell’Archivio Storico Salesiano di Roma. Alla vigilia della visita di Benedetto XVI al sacrario, il sacerdote ricorda il suo lavoro di documentazione: confrontando memorialistica e testimonianze, ha confermato che il ritrovamento dei cadaveri avvenne ad opera dei salesiani residenti presso le catacombe di San Callisto, a meno di 24 ore dalla strage. Una ricerca pubblicata, insieme ad altre, in un libro, “Non abbiamo fatto che il nostro dovere”, che nel 2000 ha raccontato la storia della protezione delle case salesiane al tempo della seconda guerra mondiale e la scoperta delle Ardeatine. «Erano cave costituite da numerose gallerie dai 50 ai 100 metri di lunghezza, intersecantesi fra loro, larghe tre metri e alte dai quattro ai sei metri. Vi si accedeva mediante vari ingressi da via Ardeatina e i salesiani erano soliti addentrarvisi d’estate, alla ricerca di un po’ di frescura».
Numerose le testimonianze raccolte da don Motto per l’occasione. «Non mancano delle contraddizioni nei racconti, ma in ogni caso – sottolinea – ebbi la possibilità di parlare proprio con i tre scopritori dell’eccidio, che al ritorno in istituto avevano avvisato l’allora direttore, don Sebastiani. Credo che la ricerca sia approdata alla maggior sicurezza possibile sui fatti delle Ardeatine. Anche Alessandro Portelli, autore del volume L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, ha concordato con quanto avevo scritto». Già il giorno dell’eccidio, dalle finestre del complesso di San Callisto era stato possibile scorgere l’intenso movimento degli autocarri che portavano le vittime al massacro e la chiusura delle strade adiacenti. «A comunicare la notizia della strage alla Santa Sede – spiega il sacerdote – fu, probabilmente qualche giorno dopo, don Michele Valentini, uno dei due salesiani (l’altro era don Ferdinando Giorgi) più collegati con la Resistenza romana».
Alcuni salesiani compirono un nuovo sopralluogo il 30 marzo, dagli effetti ancora più macabri: «Si inoltrarono lungo le cave, finché si parò loro dinanzi la raccapricciante visione delle cataste dei cadaveri». Incontenibile l’ansia delle famiglie che avevano parenti arrestati o deportati. «La gente disperata cercava informazioni – afferma don Motto – e i salesiani delle catacombe poterono essere d’aiuto perché erano entrati in possesso di una lista di trucidati che erano stati prelevati dal carcere di Regina Coeli». Proprio dal penitenziario di Trastevere arrivava buona parte dei caduti. Gli altri, in esecuzione dell’ordine di uccidere 10 italiani per ogni tedesco morto, erano stati prelevati dal carcere di via Tasso o consegnati dal questore Caruso o dalla banda Koch, e nella fretta di portare a termine l’eccidio i nazisti, guidati da Herbert Kappler, comandante della polizia tedesca a Roma, avevano aggiunto cinque persone in più all’elenco, fucilando anche loro.
I 335 erano prigionieri politici, ebrei, uomini arrestati per piccole infrazioni alle disposizioni emanate dai nazisti, semplici sospetti. L’esecuzione vera e propria si svolse nel pomeriggio del 24 marzo, fino alle 20. Seguirono due potenti esplosioni, sentite distintamente dai salesiani. I guastatori tedeschi avevano fatto saltare con le mine le volte delle gallerie per chiudere gli ingressi delle cave: Kappler avrebbe voluto trasformarle in una gigantesca tomba con l’obiettivo di nascondere per sempre la strage. Ma la storia andò diversamente.
24 marzo 2011