Fraternità di San Carlo, lo sguardo nel mistero
La liturgia officiata nella chiesa di Santa Maria in Domnica alla Navicella per i 25 anni della società di vita apostolica di Marta Rovagna
La bellissima chiesa di Santa Maria in Domnica alla Navicella era gremita la sera di martedì scorso (14 settembre 2010), per la celebrazione eucaristica in occasione dei 25 anni della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, società di vita apostolica fondata da don Massimo Camisasca su impulso del carisma di don Luigi Giussani. Moltissimi i giovani e le famiglie che hanno partecipato alla liturgia presieduta dallo stesso monsignor Camisasca. Insieme a lui altri 34 sacerdoti che hanno celebrato la ricorrenza dell’Esaltazione della Croce.
«La Fraternità in questi 25 anni – ha raccontato il fondatore nell’omelia – è stata per me una scuola per imparare a non vivere per me stesso e a non morire per me stesso. Spero che per tutto il tempo che mi resta da vivere questa scuola possa continuare ad approfondirsi per me, ma anche per ciascuno di voi». Diverse le attività della Fraternità che, riconosciuta come società di vita apostolica nel 1999 da Papa Giovanni Paolo II, si caratterizza per l’evangelizzazione e l’educazione della fede attraverso l’esercizio del ministero sacerdotale, soprattutto in ambienti e Paesi nei quali vi è una manifestazione più evidente della scristianizzazione della società e si avverte la necessità, per la Chiesa, di un nuovo impulso evangelico.
Per don Massimo Camisasca «se vogliamo capire qualcosa di questi 25 anni dobbiamo sprofondare il nostro sguardo e il nostro cuore in questo mistero per cui Dio dona il suo Figlio unigenito perché vuole che gli uomini siano salvi». In questo contesto quindi il Signore chiede a suo Figlio di morire affinché «da quel sacrificio – ha spiegato il celebrante durante l’omelia – vissuto nell’obbedienza al Padre, venga definitivamente sconfitto il peccato e la morte, che del peccato e il frutto più terribile. Se non entriamo in questa esperienza del dono che Dio fa del Figlio per noi, non abbiamo le chiavi per entrare nelle ragioni della nostra comunità». E il cuore, l’anima pulsante dell’esperienza del «fare comunità», è la cifra della misericordia del Signore: l’esperienza fondamentale è infatti quella «della misericordia di Dio nella nostra vita. È un raggio della Croce. Cristo innalzato – ha continuato don Camisasca – ci chiama e ci attira a sé. Questa è la realtà della vocazione, di ogni vocazione cristiana, in particolare della vocazione sacerdotale. E, chiamandoci, ci consegna a dei fratelli. Accade sempre così nel sacramento della Chiesa».
Fratelli che vivono assieme, come quelli della Fraternità e che partono per evangelizzare. «Sono questi i due elementi che mi hanno convinto a entrare in questa realtà – ha raccontato don Paolo Sottopietra, vicario generale della Fraternità di San Carlo – ormai 11 anni fa, quello del vivere in comunità e quello del respiro missionario. Ho conosciuto don Massimo e ho scoperto questa esperienza all’interno del movimento di Comunione e Liberazione, nel quale mi sono formato». Molti i ricordi degli anni di Fraternità, su tutti però la gioia maggiore, per don Sottopietra è una: «Vedere sgorgare quest’opera in tantissimi momenti di lavoro comune e vedere come questo impegno è veramente un dono di Dio. È una vita coinvolta – ha concluso – è la ricerca di una verità a cui aderire e a cui aiutare a fare aderire altri».
17 settembre 2010