Il “grazie” di una Chiesa viva

Otto anni dopo l’elezione al soglio pontificio, nel giorno del commiato dalle migliaia di fedeli che affollano l’ultima udienza, Benedetto XVI rafforza la certezza che solo l’amore di Cristo guida il suo popolo di Angelo Zema

Il cielo di Roma dà il meglio di sé in questa mattinata invernale di mercoledì 27 febbraio. In piazza San Pietro risuonano tante lingue, sventolano centinaia di bandiere di colori diversi. Decine di migliaia di persone l’affollano per l’ultimo saluto a Benedetto XVI. È lui stesso a chiarirne il senso: è il “grazie” di «una Chiesa viva». Una Chiesa viva. Certezza che aveva indicato al mondo nell’omelia per la celebrazione eucaristica all’inizio del ministero petrino, nell’aprile 2005, riferendosi all’esperienza vissuta «nei tristi giorni della malattia e della morte» di Giovanni Paolo II. Oggi, otto anni dopo, quella certezza è più solida che mai.

Benedetto XVI ripete più di una volta che la Chiesa è viva nel discorso dell’udienza generale che passerà alla storia. Non è una catechesi come le altre. È il saluto del Papa al mondo, velato dalla commozione e pieno di affetto. L’ultimo saluto prima del nascondimento nella preghiera, in un monastero a due passi dalla tomba di Pietro. Davanti a fedeli di parrocchie, associazioni, movimenti, gruppi ecclesiali, oltre ai cardinali, a vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, diaconi. E chissà davanti a quanti lontani dalla fede o non credenti! Perché è un Papa che ha sorpreso con il suo Magistero, ha spiazzato fino all’ultimo. Fino alla scelta dell’11 febbraio: farsi da parte perché Cristo continui a vincere.

Anche oggi, nella piazza assolata, Benedetto XVI continua a spiazzare, con parole confidenziali che vanno al cuore delle persone. C’è un “grazie” rinnovato. C’è una parola per tutti, e ognuno lo avverte. C’è «un pensiero speciale alla Chiesa di Roma», la «mia diocesi». C’è la confessione a proposito dei giorni «in cui la pesca è stata abbondante» e dei giorni «in cui il Signore sembrava dormire». E insieme, tuttavia, la consapevolezza che la barca della Chiesa è del Signore. È la stessa consapevolezza che anima quelle persone nella piazza.

Non è una Chiesa che si sente orfana. È un popolo unito nello Spirito, nell’universalità e nella pienezza di una comunione che si basa sul fondamento degli apostoli. È un popolo animato da fiducia e gioia, due parole chiave di questo pontificato. Il popolo della piazza le sperimenta perché Benedetto XVI le ripropone con decisione anche nell’ultimo saluto, come fece presentandosi al mondo da successore di Pietro. «La rete del Vangelo – disse – ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nella vera vita. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti da Cristo». Fiducia e gioia nella certezza dell’amore di Cristo che solo può guidare il futuro della Chiesa.

27 febbraio 2013

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