Il Papa: «Educarci alla speranza»
Famiglia e accoglienza della vita, anziani, lavoro e casa per i giovani, sicurezza, vivibilità per i poveri, integrazione degli immigrati nel discorso di apertura del Convegno diocesano di Angelo Zema
«Educarci concretamente alla speranza». È l’appello rivolto da Benedetto XVI alla comunità diocesana di Roma nell’intervento che ha aperto nella serata di ieri, lunedì 9 giugno, a San Giovanni in Laterano, il Convegno ecclesiale diocesano, che prosegue oggi nelle prefetture e che si concluderà giovedì sempre nella cattedrale di Roma. Alla sua quarta presenza in apertura del Convegno indetto annualmente per mettere a punto il programma pastorale dell’anno successivo, il Papa ha ricordato l’«ineludibile sfida» dell’«emergenza educativa», allargando lo sguardo all’orizzonte della speranza, delineato nel tema del Convegno – «Gesù è risorto. Educare alla speranza nella preghiera, nell’azione e nella sofferenza» – e nella sua enciclica Spe salvi.
Proprio a questo documento Benedetto XVI ha fatto riferimento più volte nel corso dell’intervento, in particolare soffermandosi su quelli che ha definito «luoghi del pratico apprendimento ed effettivo esercizio» della speranza. Primo posto alla preghiera, attraverso cui «impariamo a tenere il mondo aperto a Dio e a diventare ministri della speranza per gli altri». Un compito essenziale, specialmente in un tempo in cui, «anche in questa nostra città di Roma, non è facile vivere nel segno della speranza cristiana». Prevalgono infatti atteggiamenti di sfiducia, delusione e rassegnazione, ha osservato il Pontefice, con una sensazione diffusa riguardo ad un «destino di precarietà e di incertezza» per le nuove generazioni.
Se è vero che le aspettative di grandi novità si concentrano sulle scienze e le tecnologie, ha detto il Papa, è vero però che sarebbe «miope ignorare» le «abissali possibilità di male» poste nelle mani dell’uomo dai loro progressi. «Non sono le scienze e le tecnologie a poter dare un senso alla nostra vita e a poterci insegnare a distinguere il bene dal male». Occorre «aprire a Dio il nostro cuore», ha affermato Benedetto XVI, «e tutta la nostra vita per essere suoi credibili testimoni». Testimoni nell’«azione», altro «luogo» di esercizio della speranza.
«Azione» che a Roma, secondo il vescovo-Papa, vuole dire uno sforzo comune di fronte alla «consapevolezza acuta e diffusa dei mali e problemi che Roma porta dentro di sé». Innanzitutto rispetto all’educazione e alla formazione della persona, «snodo decisivo», ma anche rispetto ai tanti problemi concreti di chi vive in città. E qui il Papa ha fatto esempi molto chiari. «Cercheremo, in particolare, di promuovere una cultura e un’organizzazione sociale più favorevoli alla famiglia e all’accoglienza della vita, oltre che alla valorizzazione delle persone anziane, tanto numerose tra la popolazione di Roma. Lavoreremo per dare risposta a quei bisogni primari che sono il lavoro e la casa, soprattutto per i giovani. Condivideremo l’impegno per rendere la nostra città più sicura e “vivibile”, ma opereremo perché essa lo sia per tutti, in particolare per i più poveri, e perché non sia escluso l’immigrato che viene tra noi con l’intenzione di trovare uno spazio di vita nel rispetto delle nostre leggi».
Ma qual è lo stile di chi si impegna ponendo la sua speranza in Dio? L’umiltà, prima di tutto, accanto alla fiducia, alla tenacia e al coraggio. Così ha indicato il Santo Padre, sottolineando che «nonostante tutte le difficoltà e i fallimenti», la vita e l’operare del cristiano, come la storia nel suo insieme «sono custoditi nel potere indistruttibile dell’amore di Dio». In questa prospettiva è più evidente quanto la speranza cristiana viva anche nella sofferenza. E Benedetto XVI ha invitato tutti ad una costante educazione alla «speranza che matura nella sofferenza». «Quando «siamo personalmente colpiti da una grave malattia o da qualche altra dura prova» e «attraverso l’aiuto concreto e la vicinanza quotidiana alla sofferenza sia dei nostri vicini e familiari sia di ogni persona che è il nostro prossimo». Guardando a quell’altro «luogo di apprendimento e di esercizio della speranza» che è il «Giudizio di Dio», la salvezza che «ci è promessa nel mondo al di là della morte». Al termine, il Papa ha chiesto a tutti l’impegno per rafforzare il «grande dono della speranza cristiana» e si è rivolto in particolare ai giovani, per «vivificare attraverso di esso il futuro della nostra amata città».
Applauditissimo l’intervento del Papa, accolto in basilica da cinquemila persone. «Eccezionalmente gremita» l’aveva infatti definita nell’indirizzo di omaggio il cardinale vicario Camillo Ruini, ringraziando Benedetto XVI per «la grande testimonianza di amore a Cristo e all’uomo con cui sostiene e conforta il nostro cammino». All’intervento del Santo Padre è seguita la relazione del giornalista Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della Sera, che ha indicato i profili di sei testimoni della speranza cristiana.
10 giugno 2008