La donna protagonista della società attuale
di Angelo Peluso
La donna è sempre più la protagonista nella società attuale. Continuamente la cronaca mette in evidenza figure femminili capaci di dare slancio e creatività in moltissime situazioni e professioni che una volta erano solo di appartenenza al sesso maschile.
Eppure non sempre questa profonda emancipazione del lavoro femminile viene valorizzata e apprezzata dall’altro sesso: ancor oggi assistiamo a fenomeni di continui boicottaggi che nascono dalla famiglia e nel luogo di lavoro. A questo bisogna aggiungere le sempre continue squalifiche che passano “culturalmente” attraverso l’immagine della donna come oggetto sessuale: non bisogna sottovalutare l’uso strumentale che viene fatto attraverso la pubblicità che è molto più dannoso di quello più esplicito attraverso riviste, film, linee telefoniche erotiche ecc.
Nella pubblicità, infatti, si trasmette un modello che influenza negativamente i più giovani favorendo la creazione di uno stereotipo femminile e finisce con l’influenzare i rapporti nel gruppo dei pari.
Le recenti vicende, hanno messo ancora di più in evidenza le sofferenze e i soprusi che molte donne subiscono in diverse parti del mondo dove ancora non viene loro riconosciuta alcuna dignità come persona. Tutti ricordiamo le battaglie che ogni donna ha dovuto compiere dapprima all’interno del proprio nucleo familiare e successivamente a livello pubblico per ottenere quel concetto di parità che ancora oggi in certi ambienti è soltanto teorico. Eppure la cronaca di ogni giorno mette in evidenza quante donne manager riescono a guidare aziende particolarmente importanti, ma mette a nudo anche quante donne ancora debbano subire violenza non solo in maniera fisica, ma soprattutto in maniera sottile con un processo vero e proprio di destrutturazione psichica. Si pensi agli abusi sessuali, alla schiavitù cui sono costrette molte donne provenienti dall’estero, alle molestie di ogni genere subite sui luoghi di lavoro, alle continue squalifiche ricevute da parte di chi vive con una conflittualità e competitività la presenza della figura femminile.
Nell’immaginario collettivo resta ancora forte uno stereotipo di una donna che come Circe seduce Ulisse (e trasforma i suoi uomini in animali rubandone l’anima) e di una donna che si occupa soltanto di faccende domestiche e delle cure dei figli: questa dicotomia è stata la causa per molti decenni di una identità di coppia estremamente falsata dove la figura femminile poteva ricoprire solo alcuni ruoli e non altri.
La donna del terzo millennio dovrà finalmente recuperare la capacità di recitare più ruoli: questo renderà la coppia ancora più forte e più solida; inoltre permetterà di dare ai figli adolescenti un modello relazionale estremamente positivo che realmente aiuterà a combattere gli stereotipi ancora troppo presenti nei mass-media.
Per tornare alla pubblicità, si passa da un’immagine all’altra senza conoscere la giusta integrazione fra i diversi ruoli che una persona mette in atto nei vari momenti del suo ciclo vitale : le scene propongono – in maniera estremamente rigida – la casalinga che aspetta il marito che lavora e la donna supermanager nelle diverse professioni. Viene esibita così una femminilità esasperata o negata totalmente; da un’identità forte a un ruolo rigido che non conosce evoluzione.
Soltanto da una creativa e costruttiva interazione uomo-donna può nascere un modello relazionale che trasmetta alle generazioni successive un vissuto sereno della sessualità e che impedisca una mentalità arida da cui derivano solo incomprensioni, divisioni e freddezza affettiva.
Le azioni di una generazione sono influenzate da quelle dell’altra generazione presa in considerazione nella sequenza intergenerazionale e viceversa. Il tema dello scambio e della reciprocal influence non deve però far dimenticare l’assetto essenzialmente gerarchico della trasmissione di valori. Cioè a dire che sono le generazioni precedenti a costituire la matrice dell’influenzamento, sia tramite modalità discorsive, sia tramite modelli di riferimento.
È opportuno distinguere tra “trasmissione”, intesa come processo unidirezionale che non implica alcuna riorganizzazione di ciò che viene trasmesso (e nel quale un mutamento è addirittura considerato un “errore”), e “internalizzazione” definita come processo caratterizzato dalla rielaborazione e trasformazione di quanto ricevuto con l’intento di trasformare da esterno a interno quanto viene trasmesso. L’internalizzazione è, a sua volta, strettamente connessa all’identificazione.
Ogni generazione può differenziarsi dalla precedente per caratteristiche e “stile di trasmissione”. Pertanto la trasmissione non è mai assoluta, ma relativa e variabile. I valori vengono cioè continuamente negoziati, definiti e ridefiniti e, qualora non sufficientemente rinforzati, possono “svanire” o essere sostituiti da altri valori anche di natura differente.
I mass media hanno inevitabilmente un ruolo attivo di condizionamento in questo processo: la televisione semplifica i valori, stringe i confini, la riduzione della complessità delle relazioni esistenti nel nucleo domestico (cioè la semplificazione dell’idea di famiglia) e la riduzione dell’ampiezza delle valenze del legame (cioè la semplificazione dell’idea di unità). I valori rappresentati dalla televisione sono neutri, privi di connotazioni forti, e le dinamiche di valorizzazione sono strettamente funzionali alle logiche comunicative che informano i programmi.
La donna del terzo millennio è la vera protagonista dell’emancipazione di se stessa e anche dell’ uomo che ancora deve liberarsi da schemi rigidi e stereotipati. Abbiamo, nel tempo, perduto ogni senso di identità eppure parecchie delle crisi esistenziali che colpiscono l’uomo/la donna d’oggi sono dovute alla mancanza di un contatto con se stessi, alla ricerca, andata delusa, di un “io”, di una “individualità” sempre più lontana.
Non seguire però il ritmo del progresso e di tutto ciò che è nuovo, porta inevitabilmente al non sentirsi “in regola” coi tempi, porta a quella corsa di conformismo ideologico e consumistico che finisce con il rendere “patologica” la nostra società progredita. Peccato che il progresso venga così mal sfruttato da tutti noi! Senza renderci conto siamo stati costretti a vedere le cose in maniera sempre unilaterale senza alcuna possibilità di mediazione. Il fatto grave viene quando, una volta che abbiamo creduto di fare la nostra “libera” scelta, ci accorgiamo che anche nella “libertà” ci siamo illusi, ci rendiamo conto che ancora una volta ci hanno fatto scegliere con i sottili mezzi della pubblicità.
La donna può essere la regista di questa vera forma di progresso dove oltre a proporsi con una identità nuova, può aiutare l’uomo a liberarsi da quei banali stereotipi che producono spesso “un dolore nascosto” e di certo non contribuiscono a valorizzare la persona nella sua integrità.
19 giugno 2009