La preghiera scuola della speranza
A colloquio con il biblista padre Giovanni Odasso sul primo dei “luoghi” indicati dal Papa nell’enciclica “Spe salvi” di Angelo Zema
Una speranza affidabile da vivere per l’altro
Fenomeno sette, convegno all’Università Europea di J. D’An.
Sono quattro i «“luoghi” di apprendimento e di esercizio della speranza» che il Papa ha indicato nella sua enciclica “Spe salvi”: la preghiera, l’azione, la sofferenza, il Giudizio. È su questi «luoghi» che Roma sette intende proporre un approfondimento con alcune interviste. Iniziamo dal primo, la preghiera, con il contributo di padre Giovanni Odasso, somasco, docente di Introduzione alla Sacra Scrittura nell’Università Lateranense.
Padre Odasso, il Papa indica la preghiera come «scuola della speranza». A Dio, scrive, si può sempre parlare. Un invito alla fiducia rivolto a tutti i cristiani.
Per comprendere il valore della preghiera può essere utile tenere presente l’espressione paolina con cui inizia l’enciclica: «Nella speranza siamo stati salvati». L’esperienza della salvezza, che come battezzati viviamo mediante la fede nel Cristo risorto, è caratterizzata dalla tensione dialettica tra il «già» e il «non ancora»: già «risorti in Cristo», ma non ancora pienamente partecipi della sua risurrezione (cf. 1 Gv 3,2). La preghiera è il «luogo» dove ogni cristiano rinnova la speranza di vivere ogni giorno «in santità e giustizia» e di giungere alla pienezza della vita eterna; il luogo della lode di Dio e della speranza dell’uomo.
Benedetto XVI fa riferimento al cardinale Nguyen van Thuan e a Sant’Agostino. Quasi a dire che la preghiera è anche sacrificio, e ancora che la preghiera richiede una vera conversione del cuore. Ma come imparare a parlare a Dio anche nella disperazione?
Quello che lei dice coglie un aspetto molto bello dell’enciclica di Benedetto XVI, soprattutto la sua dimensione pastorale. La preghiera, in quanto riflette l’esperienza che l’uomo vive nell’incontro con il Dio che salva, da un lato si esprime nel rendimento di grazie e nella fiducia; dall’altro diventa supplica intensa e costante per le necessità nostre, dei fratelli e di tutto il mondo. Proprio nel momento della prova, quando l’uomo attraversa la valle oscura delle tenebre e può essere anche tentato di disperazione, la preghiera orienta il cuore del credente a una rinnovata esperienza di Dio che è vicino, come salvatore e liberatore. Nella preghiera il credente si apre, «si converte» a Colui che ha già incontrato nella propria vita mediante la fede e che ha imparato a conoscere come il Dio dell’amore e della risurrezione. Quest’apertura personale, questa «conversione», unita alla certezza che Dio cammina davanti a noi, rende possibile la speranza. In questo senso la preghiera è davvero la prima scuola di apprendimento della speranza perché nelle ore difficili della nostra esistenza ci orienta a Colui che non abbandona mai i suoi figli, ma li guida alla gioia del suo amore e alla comunione della sua vita.
Il Papa indica tre «imparare» consecutivi parlando della preghiera: imparare «cosa chiedere a Dio», a «non pregare contro l’altro», a «non chiedere cose superficiali e comode». Come ci si può educare a questa scuola?
Sono orientamenti preziosi per la vita di fede. Nel capitolo ottavo della Lettera ai Romani, da cui prende ispirazione il titolo stesso dell’enciclica, San Paolo afferma che «non sappiamo nemmeno che cosa sia conveniente domandare», ma «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» e «intercede con insistenza per noi» (cf. Rm 8,26). Ne deriva che la preghiera è tanto più autentica quanto più ci apriamo alla guida dello Spirito, lasciando emergere dal nostro cuore l’esperienza dell’amore di Dio e lasciandoci illuminare e ammaestrare dalle Sante Scritture, in particolare dalla preghiera dei Salmi. Nello Spirito comprendiamo che la preghiera ci apre a Dio, Padre di tutti, e ci orienta alla fraternità, un punto su cui il Papa attira con insistenza la nostra attenzione. È molto importante l’indicazione di «non chiedere cose superficiali», perché la preghiera autentica è sempre esperienza di Dio, e questa innalza l’uomo a comprendere i valori ineffabili della salvezza divina che è chiamato a realizzare e a testimoniare con la propria vita.
Benedetto XVI sottolinea l’intreccio tra preghiera personale e preghiera pubblica per diventare «capaci della grande speranza». Come vivere quest’esortazione a stare con la Chiesa nella preghiera?
Il Papa, al numero 34 dell’enciclica, scrive che «la preghiera deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi» e, in particolare, «dalla preghiera liturgica». In essa il battezzato celebra il dono del Padre che lo chiama a formare con i fratelli la Chiesa, corpo di Cristo. Nella liturgia, in modo speciale nell’Eucaristia, Dio si rende presente in mezzo all’assemblea del suo popolo e la visita con il dono della sua Parola e del suo Figlio. A sua volta l’assemblea è innalzata alla comunione con Dio mediante la preghiera di lode, rendimento di grazie, supplica e intercessione. In questa prospettiva, la preghiera liturgica illumina la preghiera personale dei battezzati e sviluppa in essi la coscienza che il loro rapporto personale con Dio è autentico perché è aperto alla comunione con i fratelli e con tutta l’umanità.
Come tradurre le indicazioni del Papa sulla preghiera nella vita delle nostre comunità?
Sarebbe bene favorire, nella vita spirituale, nella formazione pastorale e nell’attività dei gruppi, la riscoperta dei due valori fondamentali della preghiera: l’esperienza di Dio e la speranza. Inoltre, perché l’enciclica diventi un orientamento vivo nella pastorale, credo sia opportuno educare a una preghiera nella quale l’orante sviluppa la sete di Dio e nel contempo è motivato a vivere una dimensione ecclesiale sentita, partecipata e responsabile. La preghiera ci apre ad un futuro di salvezza, impegnandoci ogni giorno in un cammino di giustizia, di fraternità, di pace: in una rinnovata e feconda testimonianza del Vangelo.
9 dicembre 2007