Locasciulli, l’«Idra» dell’artista-chirurgo

Nato a Penne, in provincia di Pescara, ma romano d’adozione, sarà in concerto all’Auditorium Parco della Musica il prossimo 27 maggio di Concita De Simone

Ai romani potrebbe essere capitato di incontrarlo tra le corsie dell’ospedale Santo Spirito, a due passi dal Vaticano, e non per sbaglio: Mimmo Locasciulli è lì come chirurgo. Ma tutti lo conoscono per essere uno dei grandi protagonisti della musica d’autore italiana. Formatosi alla scuola del Folkstudio, che inizia a frequentare nel 1971, incontra, tra gli altri, Francesco De Gregori, che gli produce i primi due dischi, dando il via a una proficua e storica collaborazione. Risale invece al 1987 l’inizio della sua amicizia con Greg Cohen, contrabbassista storico (e cognato) di Tom Waits, con cui ha prodotto anche il suo nuovo album “Idra”, uscito lo scorso 4 maggio, con etichetta Hobo/Parco della Musica Records e distribuzione Egea Music, che presenterà all’Auditorium Parco della Musica mercoledì 27 maggio.

Un album ispirato e dai testi molto poetici, in cui, accanto a una sensibilità tutta italiana, si avverte un’eco musicale da oltreoceano. Le registrazioni si sono svolte negli studi Dubway di New York, poi completate nello Studio Hobo Recording, con un cast composto da tre musicisti considerati tra i migliori strumentisti al mondo: Greg Cohen al contrabbasso, Marc Ribot alle chitarre e Joey Baron alla batteria. Alle session italiane hanno partecipato celebri jazzisti italiani: Gabriele Mirabassi al clarinetto e Stefano Di Battista al sax soprano. A completare il cast, altri importanti musicisti quali Giovanni Imparato alle percussioni, Francesco Bigoni al sax, Matteo Locasciulli alla chitarra e un quartetto d’archi della Sinfonica di Brasciov (Romania). In un brano è presente l’Ensemble Mereuer, originalissimo gruppo di plettri.

Il tutto rende l’idea di una grande accuratezza. D’altra parte, un chirurgo con una sua etichetta discografica (la Hobo), può permettersi di fare dischi dove, quando e con chi vuole, senza ansie e dettami da mercato discografico.

«Ho registrato gli ultimi 5 dischi nel mio studio e con la mia etichetta – afferma soddisfatto –. Il fatto di non avere scadenze è una parte importante della metodologia di lavorazione. Ho fatto i primi 12 album con la casa discografica che affittava gli studi per un periodo prestabilito, finito il quale non ci potevano essere ripensamenti. Adesso invece, mi concedo il tempo di sedimentare le idee e farle maturare. “Idra”, ad esempio, è nato a New York nel gennaio 2008. Poi ad agosto ho registrato gli archi, a settembre le percussioni e così via. Il merito del risultato è soprattutto della caratura dei musicisti. Non abbiamo dedicato molto tempo ai miraggi, perché tanto i primi suoni erano già buoni».

C’è ricchezza di collaborazioni, di parole, di suoni ma anche di ispirazioni ricevute dal termine stesso “Idra” che dà il nome al tuo album…
Tutto è partito quasi due anni fa a Torino, al Folkclub, un locale cui sono molto affezionato. Avevano chiesto a un gruppo di cantautori, compreso me, di musicare delle poesie e io scelsi “Idra”, di Leonard Cohen. E questo nome ha continuato a rimbalzarmi nella testa anche durante un concerto a El Cairo, dove ne ho rivissuto tutti i richiami epici. Idra è il nome del mostro con nove teste che nella mitologia greca fu sconfitto ed ucciso da Ercole. Nella interpretazione esoterica, poi, le nove teste rappresentano nove vizi capitali, ingredienti che ci rendono imperfetti, causa dei nostri stessi mali. In questa lettura Ercole è l’amore, cioè il valore che conduce l’uomo alla sua affermazione ed al suo riscatto. Poi l’anno scorso sono stato a Lampedusa per un altro concerto, e lì ho riflettuto sul significato di Idra come l’immenso mare che accoglie i migranti.

Le tue collaborazioni nascono innanzitutto dall’amicizia, che poi è anche stima professionale.
Mi diverto molto con loro. Per una coincidenza molto rara li ho avuto tutti contemporaneamente a New York, adesso sono in giro con Marianne Faithfull. Lo dico con orgoglio, ho sentito Marc Ribot rifiutare davanti a me un lavoro da 3mila dollari a settimana più spese per mega alberghi. Si può dire che faccio dischi per metterci l’arte di questi artisti.

Com’è lavorare con tuo figlio Matteo?
Lui suona il basso elettrico da una decina di anni, ma ha dimostrato di avere una bella capacità creativa per gli arrangiamenti. Mi ha seguito a New York inizialmente con un ruolo minore, poi però ha anche suonato e in Italia ha avuto uno spazio importante per gli arrangiamenti e alla fine non gli ho potuto negare la coproduzione. Ma è stato anche faticoso, perché i figli tendono a prendersi tutto, invece le intuizioni entusiastiche giovanili vanno bilanciate con l’esperienza.

Nelle note di presentazione dell’album, scrivi: “Talvolta scrivere è un prodigio di autoanalisi, talvolta un fiume carsico che sprofonda e riemerge, talvolta soltanto un innocente viaggio”. Che percorso fai, insomma, per ispirarti?
Adesso mi concedo molto tempo per l’auto analisi. Prima ero capace di scrivere 10 canzoni al giorno, per censurarne poi il 99 per cento. Ho scritto anche canzoni su testi già fatti o musiche già fatte. Poi ho adottato un’altra metodologia. Con l’auto analisi devi essere costretto a tirare fuori tutto quello che hai. Non tocco mai il pianoforte ma ogni tanto me ne sento veramente attratto. Mi vengono in mente delle immagini, mi siedo con un concetto nella testa e scrivo musica. Poi magari aggiungo il testo dopo un anno. Scrivo meglio quando sono più stanco, con le spalle al muro riesco ad analizzarmi meglio.

Romano d’adozione, sei nato a Penne, in provincia di Pescara. Come ti ha colpito il recente terremoto?
Si è visto che gli abruzzesi non sono gente “piagnona”, ma reattiva. L’Abruzzo non è molto conosciuto. Non è tra i grandi itinerari, ma chi lo conosce non lo abbandona. C’è stata una grande partecipazione emotiva. Mi dispiace poi che le sciagure servano anche a mettersi una medaglietta sul petto. Non condivido le chiamate a raccolta di intellettuali e musicisti. È più proficuo prendere un cantante e fargli fare un concerto, piuttosto che mettergli vicino altri 50 colleghi e fare una canzone. La discografia ha tempo lunghissimi, ci sono le royalties, i diritti d’autore. Io andrò a fare un concerto con Franz di Cioccio e poi mi ha chiamato la comunità abruzzese di Riano, vicino Roma, per partecipare a una manifestazione il prossimo 28 giugno. Mi sento più utile con le piccole iniziative dirette.

22 maggio 2009

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