L’origine apostolica dei vangeli e la loro storicità al Concilio Vaticano II

di Andrea Lonardo

«Immaginate in questa navata centrale della basilica di San Pietro le sessioni del Concilio Vaticano II e gli oltre 2500 vescovi seduti a destra ed a sinistra che nel 1965 approvano la Dei Verbum». Raramente le guide dei tanti pellegrini e turisti che giungono in Vaticano si soffermano a raccontare e far rivivere questi momenti decisivi. Il Vaticano I fu celebrato nel transetto destro della basilica, mentre il Vaticano II richiese l’intera navata centrale per permettere a tutti i partecipanti di prendere parte alle diverse sessioni.

Fra i passaggi decisivi della Dei Verbum troviamo l’affermazione dell’origine apostolica dei vangeli (DV 18): «La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica».

Con questa felice espressione i padri conciliari hanno voluto, da un lato, lasciare libero campo alla ricerca su chi siano gli ultimi redattori degli scritti neotestamentari. Dall’altro hanno insegnato che, chiunque sia stato l’effettivo estensore finale dei singoli scritti e quali siano stati i passaggi che hanno preceduto la loro redazione ultima, tutto è avvenuto in conformità alla predicazione apostolica.

L’ipotesi più accreditata sulla formazione dei sinottici afferma l’esistenza di una raccolta scritta di detti di Gesù (in greco loghia) precedente la redazione di Matteo e Luca e da loro utilizzata. I passi paralleli di questi due vangeli mostrano che entrambi debbono aver usufruito di questa fonte a loro anteriore, tesa anch’essa a far sì che potessero essere conservate le parole pronunciate da Gesù. Questa raccolta (indicata convenzionalmente con la maiuscola Q, dal tedesco Quelle che significa appunto fonte) non la possediamo più come testo a sé stante, ma inserita in Matteo e Luca che l’hanno intrecciata nel tessuto del vangelo di Marco e arricchita con fonti a loro proprie.

L’affermazione dell’origine apostolica dei vangeli indica che questa ipotesi, come altre consimili, è assolutamente legittima per la fede cattolica. Essa, infatti, non inficia minimamente l’affermazione che ciò che è contenuto nei vangeli risale alla predicazione apostolica.

I vangeli e gli altri testi neotestamentari vengono scritti mentre sono certamente ancora in vita alcuni degli apostoli. La loro redazione avviene, comunque, in comunità di fondazione apostolica nelle quali la memoria della loro testimonianza è certamente forte. Affermare che la chiesa ha sempre ritenuto e ritiene l’origine apostolica dei vangeli vuol dire, da parte del Vaticano II, confermare che la sostanza di ciò che i vangeli ci trasmettono rispecchia fedelmente la parola degli apostoli anche se i testi non avessero direttamente la loro paternità, ma fossero opera di loro discepoli o in maniera più estesa di “cerchie” di persone tramite loro generate alla fede.

Paolo VI in persona intervenne nella discussione conciliare facendo preparare una lettera il 17 ottobre 1965: chiedeva che il testo della Dei Verbum affermasse da un lato il triplice stadio – Gesù, gli apostoli, i redattori – che ha portato alla scrittura dei vangeli e dall’altro la fedeltà storica del Nuovo Testamento al “Gesù reale” . Il suggerimento del Papa fu accolto ed i padri conciliari si trovarono d’accordo nel dire, in Dei Verbum 19, che la chiesa “afferma senza esitazione la storicità” dei Vangeli.

Su questa linea si muove il volume Gesù di Nazaret di J.Ratzinger-Benedetto XVI in tutta la sua impostazione ed anche quando, riflettendo sull’importanza della testimonianza giovannea che concorda pur nelle sue peculiarità con tutto il resto del Nuovo Testamento, afferma che dietro il quarto vangelo “vi è ultimamente un testimone oculare e anche la redazione concreta è avvenuta nella vivace cerchia dei suoi discepoli e con l’apporto determinante di un discepolo a lui familiare”. Più che l’individuazione precisa di questa figura ciò che sta a cuore all’Autore è evidentemente l’origine apostolica dell’evangelo giovanneo.

Il Nuovo Testamento è così testimone non di molti cristianesimi, ma di un unico cristianesimo nel quale i differenti autori arricchiscono l’unità con la percezione di sfumature differenti ricchissime ma mai divergenti sul nucleo centrale, tutti confessanti insieme che solo in Cristo avviene la piena rivelazione di Dio e che non vi è altro Salvatore al’infuori di Lui.

19 febbraio 2008

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