L’ultimo saluto di Casal Bertone a don Enrico
I funerali di monsignor Pomili sono stati celebrati a Santa Maria Consolatrice dove è stato parroco per 25 anni. Il cardinale vicario Agostino Vallini: «La sua vita, un seme per il quartiere» di Elisa Storace
«Hai fatto suonare di nuovo il tuo fischietto ed eccoci, siamo corsi, come quando ci radunavi all’oratorio. Non è stata la stessa cosa, ma siamo venuti per abbracciarti e dirti grazie, per tutto quello che ci hai insegnato. Ti vogliamo bene. I tuoi ragazzi di Casal Bertone». C’erano solo posti in piedi nella parrocchia di Santa Maria Consolatrice giovedì 19 giugno, ai funerali di monsignor Enrico Pomili, canonico onorario della basilica di San Giovanni in Laterano ma parroco a Casal Bertone per oltre venticinque anni, dove, infatti, per tutti era solo “don Enrico”.
Nessuno dei “suoi ragazzi” ha voluto mancare all’ultimo saluto al sacerdote. Un pastore «che ha speso tutta la vita per i suoi parrocchiani», come ha scritto il cardinale vicario nella lettera inviata per le esequie. «La sua vita silenziosa e umile – ha ricordato Vallini nel suo messaggio – è stato un seme gettato in questo quartiere, che ha prodotto frutti abbondanti e per il quale ora avrà certamente ottenuto dal Signore il premio della vita eterna, promessa ai servi buoni e fedeli». A salutare don Enrico anche monsignor Ennio Appignanesi, anche lui amatissimo ex parroco di Casal Bertone ed ex arcivescovo di Potenza: «A nome di don Enrico voglio ringraziare questa comunità, che è stata anche la mia e che tanto l’ha amato, perché so che, guardando la chiesa gremita, lui lo farebbe certamente».
E la sua comunità non mostra dubbi: «Don Enrico non smetterà di preoccuparsi per noi anche da lassù – sono certi -, come ha sempre fatto». «Se non mi vedeva in chiesa – racconta Daniela – mi chiamava al telefono e mi faceva, ironico: “Allora, dove ti fa male?”, perché sapeva che, se non andavo, voleva dire che stavo giù per qualche motivo. E faceva così con tutti, come un padre. Quando litigava con i più irrequieti, come me, magari noi ragazzi ci allontanavamo per un po’, ma quando tornavamo, spesso dopo “aver sbattuto il muso” su quello che ci aveva detto, lui era sempre lì, pronto a riabbracciarci senza dirci nulla, perché ci leggeva nel cuore e sapeva già tutto». Al suono del suo fischietto, per anni, una folla di bambini e ragazzi si è radunata in oratorio: «Era severo e non faceva sconti a nessuno – dice ancora Daniela -, ma per noi ragazzi, per non lasciarci in mezzo alla strada, organizzava tante cose: come il campeggio con le tende scalcagnate, i giochi in oratorio, il cinema nel pomeriggio: tutte cose che non dimenticheremo mai e che per molti hanno fatto la differenza».
«Il 14 giugno don Enrico è tornato alla casa del Padre – ha detto nell’omelia monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare per il settore est – ed è da allora che ricevo telefonate di parrocchiani che vogliono raccontarmi aneddoti e storie su di lui. Storie che parlano di presenza, disponibilità, accoglienza e di una dedizione speciale ai bambini e ai giovani». «Da queste telefonate – ha proseguito il vescovo – so che don Enrico conosceva tutto il quartiere, che nessuno sfuggiva alle sue letterine, che faceva recapitare a domicilio, e che molti di lui conservano l’immagine di quando, seduto in fondo alla chiesa dopo la Messa, era pronto ad ascoltare chiunque volesse parlargli: un esempio per tutti noi sacerdoti».
20 giugno 2014