Nel Sud di William Faulkner
Nel capolavoro Go down, Moses si compongono in romanzo le storie di schiavi, mogli vinte a poker, contrabbandieri di whisky e incursioni del Ku Klux Klan, di amori e lutti che rendono folli di Paolo Pegoraro
Mancava davvero da troppo tempo il capolavoro di William Faulkner, Go down, Moses, il libro della terra, delle generazioni e del sangue «fatale e funesto» del vecchio Carothers. Un romanzo di capitoli in forma di racconto legati tra loro in maniera inestricabile, come intricato è l’albero genealogico che vanno a risalire, quel meticciato di sangue indiano, nero e bianco che costituisce la «razza una e trina» del Sud americano. Storie di fughe di schiavi, mogli vinte a poker e contrabbandieri di whisky, di caccie al tesoro tra i campi di cotone e di incursioni del Ku Klux Klan, di amori e lutti che rendono folli. Storie di apprendistato all’umiltà e all’orgoglio nelle foreste incontaminate dove si muovono con grazia totemica orsi e cervi simili a spiriti che c’erano e continueranno a esserci dopo il passaggio dell’uomo. Storie, sì, ma al tempo stesso un romanzo compatto, da leggere consequenzialmente dalla prima all’ultima pagina, valga da esempio il magnifico racconto L’orso, vertice della narrativa faulkneriana, che risulterebbe incomprensibile per almeno due terzi senza i precedenti capitoli.
Storie che mutano continuamente anche per lo stile, spaziando dal comico a una solennità degna delle orazioni ritmate dei canti dell’Odissea o dell’implacabile austerità dei capitoli del Levitico. Della maestria di Faulkner basti ricordare che riusciva a incutere timore perfino a una sua conterranea impavida e irriverente come Flannery O’Connor la quale si giustificava dicendo che preferiva non leggerlo, perché «mi fa sentire che con la mia sinassi dovrei smettere di scrivere e limitarmi ad allevare polli». Eppure Faulkner, come altri grandi del Novecento, lo osserva Nicola Lagioia, viene osannato spesso per il motivo sbagliato, cioè isolando la novità della tecnica narrativa dal suo obiettivo più importante e immediato, che è quello proprio della grande letteratura, cioè sondare il cuore dell’uomo e dire una verità sul suo posto nel mondo.
In Go down, Moses la verità è quella del sangue che si mischia, di fratelli di latte bianchi e neri che crescono insieme finché l’affetto succhiato non è tradito dal reclamo dei diritti del padrone. Ma è anche la verità di zio Isaaac, zio “Ike”, il solo a rendersi conto che, auto-imprigionatisi in questo sistema, sono gli uomini bianchi quelli che non sono mai stati liberi. Sfogliando i vecchi registri della bottega degli avi, dove si annotano la compravendita degli schiavi e gli incroci di sangue più diversi e innominabili – incesto compreso -, Isaac si rende conto come un novello Mosè di essere cresciuto nel casato dell’oppressore pur dovendo tutto ciò che sa a un oppresso come il vecchio Sam Fathers. Isaac si scopre ultimo anello di questa catena, erede della terra che calcano loro tutti, e allora l’unica soluzione che gli si prospetta è tirarsi indietro, rinunciare alla proprietà per diritto di sangue e ritirarsi a vivere in un bungalow in affitto. “Go down, Moses”, recita un famosissimo gospel, “Scendi in Egitto, Mosè, e dì al Faraone: Lascia partire il mio popolo!”. Ma la discesa di Isaac non è quella del rivoluzionario che solleva le masse contro il tiranno, semmai è l’abbassamento kenotico, la rinuncia a quanto spetta per condividere la condizione di chi patisce quel diritto. «Quella dentro di sé, contro di sé – commenta Nadia Fusini – è l’unica guerra civile che Ike ammetta». È anche l’unica guerra civile di questo romanzo che, ben prima della denuncia, si erge fin dalla prima pagina come monumento alla gratitudine, quella di Faulkner alla sua “mammy” di colore Caroline Barr «che è nata in schiavitù e ha dato alla mia famiglia una fedeltà senza riserve né calcolo e alla mia infanzia una devozione e un amore incommensurabili».
Il libro
William Faulkner, Go down, Moses, Einaudi, pp. 346, € 22
La citazione
«Ci sono nel Libro certe cose che Lui ha detto, e cose a Lui sono attribuite che Lui non ha detto. E so quello che dirai ora: se la verità è per me una cosa e per me e un’altra per te, come faremo a scegliere qual è la verità? Non c’è bisogno che tu scelga. Il cuore già sa. Il Suo Libro lo volle scritto non perché fosse letto con quel che elegge e sceglie, ma col cuore, non dai saggi della terra perché forse essi non ne hanno bisogno e i saggi non hanno più un cuore, ma dai dannati e dagli umili della terra che per leggere non hanno altro che il cuore. Perché gli uomini che scrissero per Lui il Libro scrivevano la verità e c’è una sola verità e abbraccia tutto quel che tocca il cuore».
17 giugno 2014