Don Ilunga, zolfo e lavanda
“Fiori per me che profumo”, scritto dal sacerdote congolese parroco in Toscana, è un viaggio senza sconti negli anfratti dell’anima, un impasto tra romanzo di genere e indagine esistenziale di Paolo Pegoraro
Li chiamano santi mirobliti. Sono coloro il cui corpo, prima e dopo la morte, emana una fragranza simile a quella dei fiori, invece che il lezzo della putrefazione. Del fenomeno, attestato per la prima volta durante i funerali di Policarpo di Smirne (155 d.C.), sono stati recensiti quasi 500 casi, tra i quali si annoverano nomi celebri come santa Teresa d’Avila e padre Pio da Pietrelcina. Per contro, come ben noto, le apparizioni del nemico lascerebbero dietro di sé il proverbiale puzzo di zolfo…
Ma che succede se gli odori si mischiano, si scambiano, si confondono? È quanto accade a padre Ismael, alter ego dell’autore di “Fiori per me che profumo. Gli esorcismi di padre Ismael”, ovvero don Jean Jacques Ilunga, congolese, parroco in Toscana, al suo quarto libro. Sacerdote colto, coltissimo, il protagonista del libro, appena rientrato a Prato da un viaggio nella Repubblica Popolare del Congo. Affascinante e decisamente sensuale, nel senso più positivo del termine: affamato di odori e sapori, pensieri ed emozioni. Ma colto impreparato. Davanti al fragilissimo cuore di un’anziana che gli chiede di sposarlo, gli mancano parole capaci di curare. E quando gli chiedono di esorcizzare una scuola, non riesce a nascondere un sorriso di scetticismo: la gente vede il diavolo dappertutto… È allora che comincia la sua personale guerra dell’olfatto. Quando prega, l’aria si fa irrespirabile. Quando cede e imbocca qualche scorciatoia… eccolo circondato dalla fragranza di rose.
C’è davvero una presenza malefica? E dove? Nel gruppo di bulli della scuola? Nella giovane adolescente che confessa impurità impensabili? Nel cinese che schiavizza i suoi compatrioti? Nella follia dell’anziana innamorata? «Se ci si pone delle domande sbagliate, le risposte non potranno mai essere giuste». Possibile che sia invece dentro casa propria? Magari dentro il rifiuto di accettare tutti i doni ricevuti dall’Alto, compreso quello troppo esigente – peggio, troppo imbarazzante – di poter operare guarigioni straordinarie?
“Fiori per me che profumo” è un originale e godibilissimo impasto tra romanzo di genere e indagine esistenziale, effetti speciali e squarci lirici di grandiosa profondità. Un romanzo pop che non rinuncia ad innervarsi in questioni come le esigenze della vocazione sacerdotale. «Prete è sinonimo di eroe. Se un prete dimentica oppure rifiuta di essere un eroe avrà sempre la comprensione della gente, ma la gente, nel momento in cui comincia a considerarlo un uomo, se ne andrà perché non ha più bisogno di lui».
Riuscitissimo esperimento, “Fiori per me che profumo” presenta in termini contemporanei e non scontati la troppo consunta e banalizzata dottrina cattolica sul diavolo e i fenomeni di possessione. Don Ilunga spia l’azione dell’avversario nel quotidiano, passo dopo passo, in una silenziosa escalation che conduce all’impensabile (da meditare e rimeditare il finale). Al tempo stesso, è un viaggio senza sconti negli anfratti dell’anima, tra ombre frementi e abbaglianti rivelazioni. «Non abbiamo le chiavi del nostro abisso, non possiamo decidere di aprirlo e nemmeno di chiuderlo. L’unica certezza è che l’abisso ci appartiene». Eppure proprio nelle stanze più abissali risuona una melodia senza pari. «La luna è alla sua finestra, il sole sorge solo per poterlo vedere, il cuore dell’uomo».
Sottotitolato “Gli esorcismi di Padre Ismael”, il romanzo lascia forse intendere di essere il primo di una serie. Noi ce lo auguriamo: Ilunga ha una scrittura raffinata e anche questo è un dono di cui essere responsabili.
Il libro
Jean-Jacques Ilunga, Fiori per me che profumo, Fandango, pp. 175, € 16
24 marzo 2014