Paco de Lucia racconta il suo flamenco

Intervista esclusiva al chitarrista spagnolo in concerto all’Auditorium Parco della Musica domenica 28 febbraio, insieme con la sua band di Concita De Simone

Dita che scorrono sorprendentemente veloci sulle corde di una chitarra classica. Storie che si fanno melodie e il ritmo del flamenco che avvolge l’aria intorno. Ѐ il racconto della scena che si presenta quando di fronte si ha Paco de Lucía, il più grande virtuoso di flamenco, che con la sua chitarra e il suo genio ha traghettato il suo genere fuori della musica gitana e ha trasformato la chitarra flamenco da strumento marginale a fenomeno mondiale.

E domenica 28 febbraio la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica si trasformerà in una cueva per ospitare Francisco Sánchez Gómez, in arte Paco de Lucía, ritenuto l’ambasciatore universale della musica classica spagnola. Un felice e trascinante mix tra i ritmi del Brasile, il jazz di Chick Corea, Al di Meola e John McLaughlin e la musica classica di Albéniz e De Falla, tra irrequietezza nella ricerca musicale e talento innato (basti pensare che ha abbandonato la scuola a 11 anni per dedicarsi completamente alla chitarra).

Profetico il momento in cui, a 5 anni, corresse suo padre, Antonio Sanchez (chitarrista professionista) sul ritmo di un virtuosismo; lui, che, a partire dal 1975, anno in cui viene pubblicata la rumba “Entre dos aguas”, sarebbe diventato l’ideatore di nuovo capitolo nella storia della musica contemporanea. Da Algeciras, villaggio di pescatori dell’Andalusia, che gli ha dato i natali nel 1947, ai palcoscenici di tutto il mondo, che hanno ammirato la sua innovativa tecnica chitarristica, il picado, che consiste nel suonare singole note con i movimenti alternati delle dita della mano destra, di solito indice e medio, sia con tocco appoggiato che con tocco libero.

Dopo 27 album e centinaia di premi e riconoscimenti, Paco de Lucía torna in Italia e prima dell’appuntamento all’Auditorium, ci concede questa intervista esclusiva.

Che cos’è per lei il flamenco?
Il flamenco è lo stile di vita degli zingari in Spagna. Oggi è un genere musicale, ma il flamenco era ed è il modo di esprimere i loro sentimenti, desideri, amori e passioni. Gli zingari hanno sempre trasformato la musica che incontravano in un nuovo Paese. Credo fermamente che il flamenco emerse dalla musica tradizionale che trovarono in Spagna e subì poi le influenze della cultura araba. E gli zingari lo hanno ispirato e cambiato secondo il loro modo di essere. Tuttavia, ho sempre pensato che il flamenco fosse intrappolato nella sua stessa tradizione. Ho avuto la fortuna di suonare con musicisti molto bravi. Così ho cominciato a trasformare la tradizione in qualcosa che è stata in grado di sopravvivere nel mondo moderno. Ancora oggi mi sento un musicista di flamenco e io non ho voglia di perdere l’identità, pur dandogli sempre nuova vita.

Lei rappresenta la tradizione che si fa attualità: a cosa si ispira?
È interessante che lei dica che io rappresento la tradizione. Ci sono stati momenti in cui i tradizionalisti non apprezzavano quello che facevo. Quando ho iniziato a formare la mia band utilizzando strumenti come flauto, basso elettrico, percussioni ero un’offesa alla tradizione. E questo, oggi, è il flamenco che si conosce. La mia ispirazione proviene dai giovani artisti con cui suono. Nel mio gruppo ci sono sempre giovani musicisti, che si vedranno anche al concerto di Roma; il ballerino, ad esempio, ha solo 21 anni. E, naturalmente, ascolto tutti i tipi di musica diversi, classica, jazz, pop. Mi piace sentire musica folk, vedere film e l’arte in generale. Il mondo è così ricco, basta aprire gli occhi.

Lei è un esempio per i chitarristi di tutto il mondo. Qual è la relazione tra tecnica e fantasia nel suo stile?
Grazie per il complimento. Dovete sapere che io non so leggere la musica e quando gli studenti vengono da me dopo i concerti e mi mostrano spartiti della mia musica, che hanno imparato, mi sento molto orgoglioso. La vita è stata molto generosa con me. Tecnicamente ho un certo talento, ma non ha molto a che fare con le melodie che vengono dal mio cuore. Devi imparare il tuo strumento, lavorare e fare pratica, la tecnica aiuta ad esprimere se stessi, ma l’ispirazione viene dal proprio cuore.

Cosa suonerà all’Auditorium?
Con il mio gruppo giochiamo una miscela di vecchio e nuovo materiale. Penso di non avere una band così da molto tempo; c’è un ballerino e sono molto felice perché questo aggiunge qualcosa per il pubblico che viene a vedere. E anche Duquende, uno dei migliori cantanti in Spagna, è tornato nella band.

Come viene accolto nei diversi Paesi?
Si può sentire la differenza del pubblico in ogni Paese. In Italia sono sempre accolto molto calorosamente. Si può sentirne l’entusiasmo un po’ come in Spagna, è un Paese mediterraneo. Altri Paesi sembrano essere più attenti e tranquilli come la Germania o la Svizzera. Ma alla fine, quando si incontra la gente dopo un concerto, ti accorgi che siamo tutti uguali, la musica è un linguaggio globale.

Quali artisti italiani preferisce?
Oh, adoro Lucio Dalla, Ennio Morricone e altri…

26 febbraio 2010

Potrebbe piacerti anche