Papa Wojtyla e Roma, memoria e gratitudine
L’itinerario quasi trentennale delle visite pastorali di Giovanni Paolo II alle parrocchie romane condensato nel libro di Angelo Zema: la presentazione all’Università Lateranense di Francesco Lalli
Nelle oltre trecento visite alle parrocchie romane, Giovanni Paolo II ha fatto molto più che varcare l’ingresso di una chiesa. Ha attraversato, piuttosto, i cuori dei fedeli, la diversità di quartieri e di comunità unite dall’amore per il primo dei Pastori e, soprattutto, la memoria e la gratitudine dei tantissimi di cui ha incrociato – anche per pochi attimi – lo sguardo. Il libro di Angelo Zema, direttore di Romasette.it e coordinatore di Roma Sette, dal titolo “Giovanni Paolo II parroco di Roma”, che è stato presentato lunedì 13 ottobre nell’aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense, condensa e distilla l’entusiasmo, l’energia, la fatica di ciascuno di questi attimi di profonda comunione spirituale con l’indimenticabile Papa, il grande vescovo di Roma.
Ogni pagina procede per piccoli tocchi che creano un grande affresco fatto, innanzitutto, di volti: «Quelli dei bambini incontrati – ricorda al termine della presentazione lo stesso Angelo Zema – da cui sono scaturiti alcuni dei momenti più divertenti e toccanti di queste visite». E ancora: «Quello degli anziani, dei sofferenti, e dei parroci. Come non ricordarne – ha proseguito a questo proposito l’autore – almeno tre su tutti: monsignor Bona, che fu il primo parroco ad accogliere Giovanni Paolo II in una parrocchia romana, il compianto don Andrea Santoro, ucciso in Turchia, e monsignor Calitri, gravemente ferito venti giorni fa nella sua canonica».
Esempi che testimoniano la difficoltà e l’importanza dello «stare in parrocchia», del viverne il battito profondo, dell’essere quella «fontana del villaggio» a cui tutti sono chiamati ad attingere l’acqua. «Il libro – ha rilevato in questo senso Paolo Bustaffa, direttore del Sir e responsabile diocesano dell’Azione Cattolica per oltre sei anni dell’«era Wojtyla» – è attraversato proprio da questo filo rosso che assume il territorio, la dimensione locale e comunitaria come un fattore alto, culturale, a cui si dà una fisionomia ed un nome. Da vero giornalista, da storico dell’istante, Zema riesce a profilare con efficacia proprio questa prospettiva, unendo sempre memoria e contesto, ricordando ad ogni riga che l’amore di Giovanni Paolo II per la parrocchia non è stato né emotivo e né retorico, ma pienamente consapevole della ricchezza insita nella dimensione popolare della Chiesa Cattolica».
Lo stile pastorale, il linguaggio di un Papa che è stato quello di un «Dio che alle volte sa parlare anche romanesco», si affermano con forza nelle pagine di un volume «di grande utilità nella misura in cui disegna una preziosa cronologia – ha aggiunto Mario Marazziti, giornalista e portavoce della Comunità di Sant’Egidio – e mostra come la romanità della Chiesa diventi una delle chiavi interpretative, forse fino ad ora trascurata, non solo del rapporto di Wojtyla con la città, ma con il mondo».
Un aspetto, quest’ultimo, che è stato approfondito dal vaticanista Gian Franco Svidercoschi: «Dal volume – ha sottolineato – emerge chiaramente come le visite alle parrocchie romane siano state casse di risonanza per affrontare problemi cruciali della Chiesa universale e degli scenari internazionali. Come non ricordare le parole pronunciate dal Papa in occasione della prima Guerra del Golfo in una parrocchia di Trastevere». «Così come altre visite – ha proseguito – sono state occasioni per richiamare l’attenzione generale su aspetti quali il terrorismo, la libertà religiosa, l’attacco nei confronti della vita e della famiglia, la guerra dei Balcani». Ne scaturisce, dunque, «una vera e propria simbiosi tra i tanti viaggi compiuti all’estero e queste occasioni più locali, nella consapevolezza che il tempo dedicato ai fedeli romani non è stato sottratto agli altri sparsi nel mondo, ma ha rappresentato un’occasione di riflessione di cui hanno giovato tutti».
Vi è poi un aspetto, forse, meno evidente, ma non meno espressivo, che quest’opera porta con sé e consegna al lettore in maniera più sotterranea: «Si tratta del mistero di un uomo che fu sempre persona prima che personaggio – ha osservato monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. Un uomo che considerava la parrocchia il luogo privilegiato per apprendere la parola di Dio e il cui cuore è rimasto il cuore innamorato di un sacerdote, del perenne parroco a cui la città di Roma dice: tu sai tutto, tu sai che ti amo».
Il volume, pubblicato dalla Lateran University Press nella collana “Le testimonianze” , sbarcherà ora nelle librerie per far incontrare nuovamente il grande Papa con la gente. “Quella gente – ha suggerito Marco Cardinali, direttore della casa editrice – che si svegliava presto per andare ad incontrarlo nella propria chiesa e che ha avuto la percezione tangibile, sensibile, del pastore».
Di questo filo ininterrotto “Giovanni Paolo II parroco di Roma” vuole continuare a tessere la matassa, «partendo – come ha affermato alla fine dell’incontro lo stesso Angelo Zema – dalle suggestioni della cronaca, dall’apparentemente piccolo di un campanile per ritrovare i grandi temi dell’antropologia wojtyliana, tutti riconducibili all’annuncio di Cristo risorto».
14 ottobre 2008