Rondoni e Rapetti a confronto su arte e fede

Il poeta e scrittore e l’iconografa protagonisti dell’incontro “Nel mondo ma non del mondo”, promosso dalle Acli provinciali di Roma presso la parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino di Ilaria Sarra

L’arte avvicina a Dio? Su questo interrogativo si sono confrontati Claudia Rapetti, iconografa e Davide Rondoni, scrittore, poeta ed editorialista di Avvenire, nel quarto degli incontri di “Nel mondo ma non del mondo. Vivere la vita da cristiani”, promossi dalle Acli provinciali di Roma. L’appuntamento di mercoledì 9 maggio, che ha avuto luogo presso il teatro parrocchiale di Santa Francesca Romana all’Ardeatino, è stato mediato da Cristian Carrara, presidente delle Acli provinciali, che ha posto varie domande ai due interlocutori sul modo in cui l’arte si interseca con la fede e la spiritualità e su quanto l’arte, pur ponendo dubbi o provenendo da un non credente, avvicini a Dio.

Claudia Rapetti ha raccontato di come si è avvicinata al mondo dell’iconografia: «Dodici anni fa, non sapendo che strada seguire, ho iniziato a frequentare un corso che pensavo mi potesse servire solo per guadagnare qualcosa. Poi, invece, ho fatto un incontro che mi ha cambiata: ho incontrato Dio attraverso le icone». La studiosa ha spiegato ai presenti cosa non è un’icona: non è qualcosa di esotico, non è solo arte, non è una moda e non è solo russa, infatti tutto il bacino del Mediterraneo è ricco di queste immagini e le più antiche al mondo sono a Roma. Nella sagrestia della chiesa di Santa Francesca Romana al Palatino, ad esempio, è stata ritrovata l’icona più antica della Capitale, che ora è sottoposta a restauro. L’icona non si adora, ma si venera l’immagine rappresentata sul pezzo di legno, materiale principale sul quale sono dipinte: questo ha decretato il Concilio di Nicea II nel 787 d. C.

«Avete mai pensato – ha continuato l’iconografa – al fatto che anche nel nostro computer ci sono finestre chiamate icone? Cliccandoci sopra si aprono nuovi accessi e allo stesso modo attraverso l’icona si spalanca un’apertura sul cielo. L’iconografia rimanda al divino». «Le icone non sono come i quadri – ha concluso –: questi ultimi vengono guardati mentre è lo sguardo delle prime che si posa su ognuno di noi e ci fa sentire al centro dell’attenzione di Gesù. Questa è la bellezza, la nascita dello stupore di sentirsi guardati. L’arte avvicina a Dio? Per me in questo sì e ci parla, però, anche dell’uomo».

Di parere contrario Rondoni, che ha sottolineato come l’arte possa anche allontanare da Dio. «L’arte produce qualcosa che in natura non ci sarebbe e per fare questo occorre assumere una tecnica. Anche la posa più naturale di una ballerina è frutto di impegno e lavoro». Lo scrittore si è soffermato molto sul fatto che l’arte riavvicina l’uomo a sé stesso e gli consente di fare i conti con la propria natura: «C’è un forte sentimento di dismisura tra l’arte e l’uomo che permette a quest’ultimo di accorgersi di essere davanti a una cosa bella quando se ne sente immeritevole». Il più grande attacco all’arte deriva dalla secolarizzazione che le impedisce di venir letta come possibile esperienza religiosa: «D’altronde – ha concluso Rondoni – nel libro del cardinale Joseph Ratzinger sulla bellezza si dice che il più bello degli uomini è diventato orribile a vedersi e la cosa più bella del mondo è un patibolo orrendo alla vista».

10 maggio 2012

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