Sant’Ippolito

Famiglie, disabili, ragazzi. Tante proposte per una comunità dalla forte anima missionaria. Nel ricordo di don Santoro di Graziella Melina
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Assorti in preghiera dentro la chiesa, intenti a seguire le attività del proprio gruppo, alle prese con qualche lavoretto improvvisato nel cortile. Sono davvero numerosi i giovani che animano il cammino pastorale e si mettono al servizio della parrocchia di sant’Ippolito, al quartiere nomentano, crocevia tra la vicina università La Sapienza e la stazione Tiburtina. Eretta nel 1935 e affidata prima alla provincia piemontese dei frati Cappuccini e poi al clero diocesano di Roma, Sant’Ippolito è una delle parrocchie più antiche tra quelle costruite nei quartieri residenziali, sorti a Roma negli anni ‘30. «In questa zona – racconta il parroco, mons. Enrico Feroci – ci sono circa 10mila appartamenti, si contano intorno alle 30mila persone». Una realtà numerosa, caratterizzata da «due fenomeni molto emergenti»: tantissimi anziani e «una grossissima fetta di studenti universitari fuori sede». Ma non solo. Sono tanti pure i ragazzi residenti e le giovani coppie. «Quest’anno abbiamo celebrato più di 115 comunioni», precisa monsignor Feroci.

Alla guida di Sant’Ippolito da soli 2 anni e mezzo, il sacerdote ha già chiara la realtà in cui opera la parrocchia. «All’inizio, quando sono arrivato qui, ho cercato di orientarmi, poi mi sono reso conto che il problema più grosso è quello della solitudine degli anziani». E proprio per loro la parrocchia ha già dato vita a iniziative di aggregazione. Come la festa dell’ultimo dell’anno. «Hanno partecipato in molti – racconta soddisfatto -, gli anziani si sono sentiti gratificati, e sono stati davvero tanti i giovani che si sono messi al servizio».

Nel quartiere, a due passi dalla stazione Tiburtina, non mancano pure situazioni di disagio. «C’è una povertà nascosta. Qui abbiamo un centro di ascolto. Ma vorrei dare dignità alle persone che vengono a chiedere sussidi. Vorrei che il centro diventasse un luogo dove le persone non solamente vengono a prendere qualche cosa, ma vengono ascoltate. Non devono sentire la vergogna della questua». Insomma, precisa ancora mons. Feroci, bisogna «poter dare la possibilità alle persone di ricevere quello di cui hanno bisogno, ma ci devono arrivare con le loro forze. Bisogna accompagnarle fino al punto in cui possono essere autosufficienti».

Il cruccio del sacerdote è ora la mancanza di spazi. «Il problema è che non abbiamo locali», dice con rammarico. Di certo però non manca la voglia di fare: una cantina della chiesa, per esempio, è stata trasformata in un locale dove tutti i giorni viene fatto il doposcuola ai bimbi degli immigrati. «Una ventina – assicura il parroco -, e molti sono anche musulmani». Il rispetto delle culture e delle religioni infatti è un punto fermo della comunità. Proprio come insegnava don Andrea Santoro, che con i ragazzi di Sant’Ippolito ha avuto un legame molto particolare. «Alcuni ragazzi del gruppo missionario l’anno scorso sono stati in Brasile, in Africa, in Albania – racconta mons. Feroci, da poco tornato dalla Cappadocia -. Sono stato parecchie volte in Turchia a portare i ragazzi di qui. C’eravamo stati pure i primi di dicembre. Poi don Andrea è stato ucciso». Ma il dialogo con le altre religioni a Sant’Ippolito continua il suo cammino, pure con la vicina sinagoga di via Padova.

Oltre al laboratorio missionario “Oltre l’orizzonte”, tanti i gruppi della parrocchia: per le famiglie, i disabili (gruppo Crisalide), per i più piccoli (gli “ippolotti”), e poi gli scout, gli universitari (Luca 10), la Legio Mariae, i cori. E poi c’è anche il laboratorio francescano “Sigillum regis”, che, come spiega don Mauro Cianci, «è frequentato da una sessantina di giovani». Tra di loro anche Fabrizio, 36 anni, membro pure del consiglio pastorale. «Vengo in parrocchia da quando ero piccolo – afferma -. Uno quando crede, crede in tutto. Anche nel servizio». Stessa convinzione nelle parole di Roberta, 21 anni, catechista, e di Luigi, 26 anni, scout capo reparto. «Ho fatto tutto il percorso da ragazzino – spiega Luigi -. Mi sono innamorato di questo mondo. Ho fatto come scelta di servizio quella di essere capo scout e di portare lo scoutismo all’interno della parrocchia. E funziona. Siamo una realtà viva, siamo integrati, diamo il nostro contributo nel piccolo, sia agli Scout che alla parrocchia». Anche Paolo, 29 anni, organista, fa servizio d’animazione da quando era piccolo. «Non lo faccio perché è dovuto ma perché lo sento dentro. Sto bene e – ammette anche lui con semplicità – mi fa piacere se riesco a dare una mano agli altri, a ottenere un sorriso».

5 giugno 2007

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