“20 sigarette”, il coraggio a Nassirija
L’unico civile sopravvissuto all’attentato alla caserma del novembre 2003 racconta la strage. Il film premiato nella sezione “Controcampo italiano” alla mostra di Venezia di Massimo Giraldi
Alcuni tra i film (tanti, troppi) presentati alla recente mostra di Venezia sono già visibili nelle sale. Accanto al Leone d’oro “Somewhere”, di Sofia Coppola (degna figlia di Francis), va segnalato un titolo italiano che non era nel concorso principale ma ugualmente ha calamitato molta attenzione e molti consensi: “20 sigarette”. Inserito nella collaterale sezione ufficiale chiamata “Controcampo italiano”, dove ha peraltro ottenuto il primo premio da parte di una giuria formata da Valerio Mastandrea, Susanna Nicchiarelli, Dario E. Viganò, il film affronta con insolito coraggio un avvenimento tanto recente quanto doloroso e delicato.
Come si ricorderà, nell’attentato alla caserma di Nassiriya, in Iraq, il 12 novembre 2003 morirono 19 italiani, militari per lo più ma anche un civile, un regista, Stefano Rolla, intento a girare materiali per ricordare, testimoniare, documentare. Solo pochi giorni prima era arrivato sul posto Aureliano, un 28enne antimilitarista, convinto da Rolla a supportarlo come aiuto regista per un’esperienza di sicuro proficua e interessante. Alla fine della strage, Aureliano è l’unico civile sopravvissuto. Dopo un primo ricovero all’ospedale americano di Nassiriya, viene trasferito a quello del Celio a Roma. Lo aspetta una lunga degenza, durante la quale deve ricevere, suo malgrado, la visita di politici, militari, giornalisti. Quel lungo periodo di angoscia e incertezza diventa un libro di memorie e, ora, un film che Aureliano dirige in proprio, con tutti i rischi legati all’opera d’esordio.
Descrivendo l’avvenimento, dice: «Ho elaborato l’evento, guardando tutti gli aspetti dell’esistenza e raccontando, oltre all’attentato in sé, la persona che ero prima, la persona che sono ora, l’umanità che ho incontrato in questa avventura, i sentimenti. Si, perché si tratta di un film di sentimenti, più che di guerra». Aureliano ricorda che è stato poco in Iraq, giusto il tempo di fumare un pacchetto di sigarette (da cui il titolo), avendo bene in mente tuttavia i momenti dell’attentato e dei successivi minuti di terrore. Li ricostruisce, perciò, girando «in soggettiva», ossia come se lo spettatore fosse lì accanto a lui. La scelta è finalizzata a togliere ai fatti qualunque facile artificio di commozione, a favore di un tono secco e asciutto, certo maggiormente aderente allo spirito di scetticismo con cui il giovane si era accostato allo scenario di guerra.
Nel ruolo non facile di Aureliano, che all’inizio frequenta circoli della controcultura giovanile dove si preparano cortei pacifisti e si vive all’insegna di una programmatica precarietà, Vinicio Marchioni costruisce le sofferte sfumature di una trasformazione caratteriale violenta e repentina. Segue in pratica l’equilibrio del film. Che, dopo una prima parte vivace e mossa, felicemente disordinata nell’incrociarsi dei personaggi, tiene il ritmo giusto fino alla «ricostruzione» della tragedia. Dopo, le linee psicologiche si confondono, subentra qualche passaggio meno risolto, nel tentativo di mettere insieme dramma e commedia. La testimonianza però resta autentica. Una riflessione sul ruolo del (non) eroe all’aprirsi del Terzo Millennio.
20 settembre 2010