“Rio 2096”, animazione tra verità e leggenda

Un poema storico fatto di simboli e di metafore, tutto riletto con taglio ruvido. Un universo più vero del realismo magico eppure già leggendario mentre si svolge. Con un disegno qua e là inquieto e visionario di Massimo Giraldi

C’è una fetta di cinema di animazione lontana dai consueti standard alla Walt Disney, quelli che da sempre il grande pubblico vede e apprezza. Un’animazione più ricercata, nel disegno e nelle tematiche affrontate, nella proposta narrativa, nelle soluzioni visive. Da questo fine settimana è nelle sale “Rio 2096 – Un storia d’amore e furia”, una produzione brasiliana che si è messa in luce partecipando con successo ad alcuni festival internazionali. Il copione racconta la vita di un uomo, nato indios e mai morto, prescelto dagli dei come portatore di una missione che travalica le epoche e i popoli: salvare il mondo dal male in ogni sua forma. Ad ogni morte apparente, l’uomo assume le sembianze di un uccello, e vola, guidato dal suo legame con Janaina, la donna che ama e amerà in ogni epoca e tempo.

Brasiliano di nascita, già autore di film e documentari, il regista Luiz Bolognesi precisa che «due elementi soprattutto mi appassionano: la storia del Brasile e i fumetti. Ho deciso allora di raccontare la storia del Brasile in modo da incuriosire i giovani e avvicinarli alla storia del nostro Paese, pieno di amore e furia. La storia – aggiunge – è inventata ma basata su una serie di leggende provenienti dagli indiani Tupi-Guarani, tra cui i Tupinambas. Ho fatto molte ricerche sui loro miti e ho basato il film su di essi». Seguendo la storia d’amore tra l’uomo/uccello e Janaina, si ripercorre la storia del Brasile in quattro momenti fondanti della vita del Paese: la scomparsa degli Indios per mano dei portoghesi nel 1500; la schiavitù del 1800, la dittatura degli anni ’70 del Novecento; la Rio de Janeiro futuristica del 2096, distrutta dalla guerra per l’acqua.

La novità è quella di creare un andamento narrativo che sostituisce il realismo magico alla Disney (e alla Pixar) con un universo forse più vero eppure già leggendario mentre si svolge. Siamo dalle parti di un poema storico fatto di simboli e di metafore, tutto riletto con taglio ruvido, marcato, sottolineato. Il disegno, avvolto in linee squadrate e nervose e plasmato su una cromatura tendente allo scuro, sa essere qua e là inquieto e visionario, in linea con l’urgenza di raccontare fatti drammatici e fantasiosi. Trasversale ai quattro episodi, emerge una linea storico-politica che impronta di se le varie scelte del protagonista e indica anche un atteggiamento ribelle e ben legato a precise scelte culturali. La mitologia prevalente si stempera in una progressiva umanizzazione del protagonista, con una scelta di valori più contemporanei per creare maggiore vicinanza con lo spettatore. Esperimento curioso per esperti e amanti del «genere».

8 luglio 2014

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