Alberto Maria Careggio
Il vescovo di Ventimiglia racconta a “Totus Tuus” le vacanze estive di Giovanni Paolo II e il suo amore per la montagna di Domitia Caramazza
Alberto Maria Careggio, vescovo di Ventimiglia-San Remo, cresciuto ad Aosta, appassionato di alpinismo, è stato il primo organizzatore delle vacanze estive in Valle d’Aosta di Giovanni Paolo II e suo fedele accompagnatore. Riproponiamo per l’estate l’intervista che ha concesso sull’argomento a “Totus Tuus”, la rivista della postulazione della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II.
Eccellenza, può condividere con noi il ricordo della prima vacanza estiva organizzata per Papa Giovanni Paolo II e trascorsa con lui in Valle d’Aosta?
Tutto ebbe inizio in occasione del viaggio pastorale di Giovanni Paolo II in Valle d’Aosta nei giorni 6 e 7 settembre 1986, in concomitanza con le celebrazioni del bicentenario della conquista del Monte Bianco. In quella occasione il Papa ebbe il suo primo contatto con la Valle e poté ammirare, dal ghiacciaio della Brenva a 3.550 metri di quota, l’imponenza del Monte Bianco e subire il fascino dei massicci e delle vette alpine. Da quel giorno egli nutrì il desiderio di ritornare in Valle d’Aosta per rivedere e godere da escursionista la bellezza di quei monti. Essendo stato io uno degli organizzatori del viaggio pastorale, nell’autunno dell’anno successivo fui incaricato, direttamente da mons. Stanislao Dziwisz, suo segretario personale, di occuparmi della vacanza valdostana. Questa si realizzò nel 1989, dal 12 al 21 luglio, dopo quasi un anno e mezzo di ricerche. Si voleva offrire al Santo Padre un posto confortevole e, possibilmente, molto panoramico, con una splendida visione sul Monte Bianco. Per questo progetto dovetti girare per mesi e mesi la Valle in lungo e in largo, rispettando il segreto che mi era stato imposto. L’impresa fu ardua: si trattava di prendere informazioni senza dare nulla a intendere a nessuno. Senza specificare per chi fosse, con qualche stratagemma si avviarono i contatti con i proprietari di una piccola casa, scoperta nei boschi di Les Combes, che allora era utilizzata dall’assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste per alloggiare gruppi di giovani addetti alla pulizia dei boschi. Appena la videro, il commendatore Camillo Cibin e Angelo Gugel, l’addetto di camera del Santo Padre, ne furono entusiasti. Mi ricordo che arrivammo lassù, di nascosto, con fatica, in una giornata alle porte dell’inverno, con un ghiaccio molto insidioso sulla strada. Il posto era certamente incantevole. Venni pure a scoprire chi fossero i proprietari di una “misteriosa” Colonia alpina che sorgeva a poche centinaia di metri dal luogo individuato. Erano i Salesiani di Torino i quali furono ben felici di mettere a disposizione la loro struttura per i necessari servizi di appoggio. Tutto andò perfettamente bene. Il 12 luglio il Papa arrivava per la sua prima vacanza in Valle, visibilmente affaticato, ma radioso, festosamente accolto dal vescovo Ovidio Lari e da tutte le autorità regionali e locali. L’arrivo dell’ospite più illustre del mondo fu salutato come un evento destinato, da subito, a farsi storia: storia di un Papa che prendeva le sue vacanze, alternandole tra i monti del Cadore e quelli della Valle d’Aosta.
Giovanni Paolo II soggiornò per ben dieci volte, dal 1989 al 2004, in Valle d’Aosta. Approfitto della sua professionalità giornalistica per chiederle una sintetica cronaca di quei soggiorni estivi.
Il Papa veniva per contemplare, pregare, riposare e i valdostani, riservati per natura, glielo permisero sempre, offrendo calorosa ospitalità insieme a profonda discrezione. Era curioso, ma anche significativo, il vedere come a volte qualcuno fosse nell’imbarazzo di incontrarsi direttamente con lui e preferisse non lasciarsi vedere in tenuta di lavoro al suo passaggio lungo i sentieri alpini. Un contadino, un giorno, andò addirittura a nascondersi sulla sua “Ape”; un’altra volta due giovani pastori non volevano avvicinarsi al Papa, che pure li voleva salutare, in quanto intenti ai lavori della stalla. Ma egli, anche in vacanza, amava incontrarsi con la gente del posto ed era particolarmente disponibile con chi avesse incontrato casualmente sul sentiero… se questi l’avesse riconosciuto. Fino al 1991, le vacanze furono particolarmente interessanti, con passeggiate anche di dieci ore, zaini in spalla, pranzo al sacco per tutti (anche per il Papa), una coperta perché egli potesse riposarsi per terra dopo il pranzo. Nonostante l’attentato subito, aveva un buon passo. Passeggiate ed escursioni avvennero ogni giorno, con uno schema semplice: mezz’ora di preghiera silenziosa all’inizio della camminata, nessuna lunga sosta prima di arrivare alla cima, quindi pranzo, riposo, a volte ascolto di qualche canto alpino improvvisato dai giovani accompagnatori della Vigilanza, lettura di un libro, conversazione, rientro. La particolare conoscenza della Valle del dirigente del Corpo forestale Valdostano, Alberto Cerise, aveva permesso di scegliere itinerari di straordinario interesse. Ogni giorno la meta era sempre più in alto e alla fine della vacanza – con l’utilizzo dell’elicottero – il Papa poteva anche godersi lo spettacolo in alta quota, a spasso su di uno dei tanti ghiacciai delle Alpi. In tal senso, l’impresa più delicata, tenuta da noi gelosamente riservata, fu quella di portare Giovanni Paolo II sul massiccio più alto d’Europa, sulla vetta italiana del Monte Bianco, a quota 4.748 metri. Si effettuò nella mattinata del 17 luglio 1990.
Ricorda un’altra gita indimenticabile?
Quella del 17 luglio 1991 in una località di alta montagna, a Comboé, sotto una pioggia fitta e insistente, nebbia a non finire, un tempo da lupi. Il Papa non volle desistere dal partire, contro ogni nostro parere, ma fu premiato. Si fermò più volte lungo il sentiero, soffermandosi spesso ad assaporare le misteriose sensazioni provenienti da una nebbia avvolgente, dal rumore frastornante di un’alta cascata, rigonfia d’acqua. Fu necessario pranzare sotto una tenda e asciugarsi gli abiti a un fuoco di ramaglie, acceso appena cessò di piovere. Di quel giorno noi continuiamo a ricordare l’intenso e prolungato abbraccio del Papa a un’alta croce di legno che si erge ai bordi dell’alpe. Assistemmo a rispettosa distanza, muti e commossi, a un gesto tanto inaspettato quanto sconvolgente: il volto del Papa era segnato dai tratti di una profonda sofferenza interiore.
Dal 1994 inizia la fatica del cammino che finirà nel 2004.
A fine aprile c’è la rottura del femore. Le vacanze, seppur ritardate di un mese, si svolsero regolarmente dal 17 al 24 agosto. Un centinaio di metri appena, percorsi con l’aiuto del bastone, furono sufficienti per ridargli sicurezza e la voglia di camminare ancora. Giorno dopo giorno i tragitti si allungarono, il bastone per alcuni tratti gli veniva anche “sottratto”. La ripresa era buona, lo spirito altrettanto. Un solo rimpianto ripetuto ogni giorno, fino alla fine, era sulle sue labbra: «Don Alberto, hai un papa zoppo!». Sorrise, compiaciuto, quando gli risposi: «È vero, ma fa camminare la Chiesa». Dopo il 1994, la bella stagione delle vacanze andò lentamente modificandosi. Il Papa non poteva più permettersi i lunghi itinerari a piedi dei primi anni. Ora, ai danni della caduta si univano quelli progressivi della rigidità motoria, fatto che sconvolse tutti, soprattutto quando non poté più esternare con il suo sorriso la gratitudine che voleva esprimere. Porto indelebilmente impresso in me l’ultimo suo sguardo.
Nel 2006 è stato pubblicato il volume “Giovanni Paolo II, l’uomo delle alte vette – ” curato da lei. Il libro presenta aspetti inediti sulla figura, sulla personalità e sull’importanza di questo Pontefice attraverso autorevoli testimonianze. Può “disegnare” un profilo inedito di questo grande “teologo della montagna”?
È sempre più difficile stilare un “profilo inedito” di Giovanni Paolo II. È comunque interessante puntare lo sguardo su di un Papa “alpinista”. Il recente volume “Giovanni Paolo II, l’uomo delle alte vette” ha inteso evidenziare gli aspetti più salienti del Papa che ha saputo far emergere i tratti di una “spiritualità del tempo” attraverso tutta la sua vita, superando e vincendo ogni potenza antievolutiva, disgregante, trasversale che impedisse all’umanità il suo armonioso sviluppo. Tutto questo assume – a mio avviso – un movimento di elevazione spirituale che trova un riscontro simbolico nel modo con cui il Papa si è rapportato con la montagna. Come egli ha scalato le vette, sempre aggredite con un’intensa forza d’animo, così, con pari caparbia determinazione, egli ha saputo affrontare i problemi del mondo intero e gestire ogni suo limite fisico, compresa l’ultima malattia.
«Giovanni Paolo II non fu il turista o il vacanziere distratto: visse la montagna con profonda autenticità e semplicità. Egli camminava, contemplava, pregava e si riposava». Così lei scrive nel suo intervento “Karol Wojtyła: l’uomo delle alte vette”. Può spiegare il significato che il Papa attribuiva alla vacanza?
Da buon montanaro, quando camminava parlava poco, ma sapeva condividere ogni emozione con il suo sguardo profondo e luminoso quanto il cielo. Non gli si poteva indicare nessuna vetta senza che esprimesse il desiderio di andarci. Era instancabile nel camminare, insaziabile di respirare i profumi dei prati, desideroso di ascoltare i profondi silenzi delle altezze e di contemplare la cerchia dei monti e dei ghiacciai… Amava godersi il sole, l’aria, il vento, l’acqua tumultuosa e spumeggiante dei torrenti. Intenso era in lui il desiderio di “toccare” i monti. Amava pure ascoltare i canti di montagna, la fisarmonica, e soffermarsi con tutti, specie al rientro, al termine dell’escursione. Nei suoi numerosi discorsi durante le vacanze l’esortazione fu sempre quella di essere docili alla lezione della montagna, scuola di elevamento spirituale: «Bisogna salire. Le esperienze degli alpinisti e le esperienze dei cristiani sono vicine, perché qui e là c’è una sfida. Bisogna superare se stessi, bisogna rispondere a colui che ci ha superato, Gesù Cristo» (20 luglio 1989). Non va dimenticato che Giovanni Paolo II fu un grande contemplativo e come tale si accostò sempre alla montagna.
20 luglio 2007