Benedetto XVI e Papa Francesco, «tra diplomazia e comunicazione»

Dibattito alla Santa Croce su “I viaggi dei Papi”. Monsignor Gänswein: in Ratzinger una «ragione» che è «apertura». Marco Tosatti, vaticanista: in Bergoglio il “gesto” come «messaggio diplomatico» di Daniele Piccini

La filosofia del diritto di Papa Benedetto XVI e la prossemica di Papa Francesco: due facce della stessa medaglia. Nella diplomazia vaticana l’una è il sostegno teorico dell’altra, ma identici sono gli obiettivi: disponibilità al dialogo, partecipazione al dibattito pubblico, apertura all’altro. Se ne è discusso ieri pomeriggio, giovedì 5 giugno, alla Pontificia Università della Santa Croce, durante la giornata di studio “I viaggi dei Papi tra diplomazia e comunicazione”, promossa dallo stesso ateneo pontificio in collaborazione con l’Associazione culturale Giuseppe De Carli.

L’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e già segretario particolare di Papa Ratzinger – autore della prefazione del libro “Sull’aereo di Papa Benedetto. Conversazioni con i giornalisti” della vaticanista Angela Ambrogetti da cui ha tratto origine l’incontro, moderato dal professor Norberto González Gaitano, ordinario di Opinione pubblica alla Pontificia Università della Santa Croce – ha affrontato il tema dei “Discorsi politici di Benedetto XVI nei suoi viaggi apostolici all’estero”. Sono cinque, pronunciati «davanti ad uditori differenti, ma accomunati da alcuni principi. E sono tutti rivolti a democrazie occidentali». C’è «il Discorso all’università di Ratisbona, del settembre 2006; l’intervento alle Nazioni Unite sui diritti umani; il Discorso di Parigi al Collegio dei Bernardini, del settembre 2008; il Discorso al parlamento di Londra, nel settembre 2010 e quello al Bundesrat di Berlino, del settembre 2011». In essi si dipana il contributo di Papa Benedetto XVI alla filosofia del diritto.

«Il cristianesimo – ha spiegato monsignor Gänswein – non ha mai imposto allo Stato un diritto rivelato, né un ordinamento giuridico derivante dalla rivelazione. Ha sempre rimandato alla natura e alla ragione come fonti del diritto. Per il cristianesimo le norme del retto agire sono accessibili alla ragione a prescindere dalla religione. Non spetta alla religione fornire tali norme». La ragione di cui parla Benedetto XVI non è però la stessa del positivismo. «Occorre una ragione aperta alla realtà e alla natura. La sua riduzione – ha aggiunto l’arcivescovo – dipende dalla visione scientista della realtà. La ragione deve essere apertura senza limiti e pregiudizi».

Un’apertura che, in Papa Francesco, è diventata gestualità. «Il gesto – ha spiegato Marco Tosatti, vaticanista della Stampa-Vatican Insider – fa parte della categoria della poesia e del simbolo: dicono più della parola. Suggeriscono qualcosa allo spettatore che poi può elaborarli. La potenza del gesto è enorme. L’uso di questo strumento corrisponde alla progressiva umanizzazione e de-ieraticizzazione della figura del Papa». Anche Pio XII con la sua visita a San Lorenzo dopo il bombardamento; Giovanni XXIII, con la sua carezza “virtuale” ai bambini nel “Discorso della luna”; Giovanni Paolo II con le sue carezze “reali” ai bambini e Benedetto XVI con la rinuncia al papato, hanno compiuto gesti importanti. Ma in Papa Francesco, ha osservato il vaticanista, l’evoluzione è completa e il gesto è diventato messaggio diplomatico. «Ha scelto di usare auto normali, di indossare una croce di metallo e non d’oro, di abitare a Santa Marta, di chiamare al telefono persone comuni. In Terra Santa Papa Francesco ha abbracciato il patriarca Bartolomeo, Abu Mazen, Shimon Peres. Al muro del pianto ha abbracciato il rabbino Abraham Skorka e lo sceicco Ombar Abboud, ex segretario generale del Centro islamico d’Argentina. Gli abbracci di Papa Francesco sono stati il simbolo unificatore del pellegrinaggio in Terra Santa. Questi abbracci – ha concluso Tosatti – sono una forma di diplomazia, rara ma preziosa».

6 giugno 2014

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