Cristina D’Avena e le intramontabili sigle dei cartoni animati
Sulla scena da più di 30 anni, con oltre 200 pubblicazioni discografiche che hanno venduto più di 6 milioni di copie: intervista alla cantante bolognese che si esibisce al Piper Club di Roma di Concita De Simone
Basta pronunciare il suo nome per vedere occhi illuminati pieni di ricordi. Cristina D’Avena: la voce per eccellenza delle sigle dei cartoni animati. L’unica artista italiana presente nei nostri schermi dai primi anni ’80 almeno una volta al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno. Più di un’icona generazionale, una garanzia anche per i genitori di oggi. Cristina, bolognese classe 1964, un esordio a 3 anni allo Zecchino d’oro – con la mitica “Il valzer del moscerino” – e un’infanzia a cantare nel Coro dell’Antoniano, vanta quasi 700 brani tra sigle (di cartoni animati, telefilm, trasmissioni televisive) e canzoni varie. Ha pubblicato 135 album (dal conteggio sono escluse le ristampe e determinate raccolte) e 73 singoli; tra album e singoli, quindi, conta oltre 200 pubblicazioni discografiche che hanno venduto un totale di più di 6 milioni di copie.
Numeri che non hanno niente da invidiare alle dive del pop, anche se il suo genere viene relegato alla nicchia dei più piccoli. Eppure, i suoi concerti sono sempre affollatissimi e si prevede il tutto esaurito anche per la prossima data di Roma, questa sera (venerdì 20 maggio) al Piper Club, in occasione di una serata non solo dj-set ma evento multidisciplinare ad ampio spettro (arte-musica-video), dicono gli organizzatori.
Citare i titoli dei suoi successi, significa fare un tuffo indietro di oltre vent’anni per ripescare i cartoni animati con i quali noi bambini negli anni Ottanta siamo cresciuti: “La canzone dei puffi”, “La stella della Senna”, “Là sui monti con Annette”, “Bum Bum”, “Georgie”, “Nanà Supergirl”, “Pollon”, “L’incantevole Creamy”, “Il grande sogno di Maya”, “Kiss me Licia” – che la fece diventare anche un volto popolare, con la fiction ispirata al cartone giapponese –, “Lo strano mondo di Minù”, “Occhi di gatto”, “Arrivano gli Snorky”, “Memole dolce Memole”, “Mila & Shiro, due cuori nella pallavolo”, “Magica Magica Emi”, “Holly e Benji due fuoriclasse” e ancora per molto, visto che fin qui l’elenco arriva fino al 1986 ma lei è ancora oggi la voce delle sigle di tanti cartoni animati. Noi l’abbiamo intervistata per ripercorrere la sua carriera e fare una riflessione che spazia i confini musicali.
Hai accompagnato la crescita dei bambini dagli anni Ottanta e Novanta: che effetto ti fa essere un’icona?
È sicuramente un bell’effetto. Quest’anno festeggio i 30 anni di carriera e mi sembra un bel traguardo. Ho accompagnato tante generazioni, e mi emoziono a pensarci. Mi fa molto piacere essere considerata un’icona, perché vuol dire che tutto quello che ho voluto trasmettere è stato recepito. Per tanti anni c’è stato una sorta di monopolio dei cartoni animati nell’allora Fininvest per cui lavoravo e quindi la gente si è affezionata a me anche perché ero in assoluto l’unica voce delle sigle dei cartoni. Poi, con l’avvento della tv satellitare prima e del digitale terrestre poi, le cose sono cambiate. Ma io continuo a cantare e il pubblico continua a seguirmi.
Quali sono i tuoi cartoni preferiti?
Amo le sigle che mi hanno dato maggiore popolarità, come i Puffi, o “Kiss me Licia”, che fanno parte della mia carriera artistica ma anche della mia vita.
Pensi che sia cambiato il pubblico dei bambini e il mondo delle sigle?
Per un periodo le sigle hanno seguito la moda. Andava la musica dance e si facevano così anche le sigle, ma a me non sono mai piaciute. Una sigla deve tenere nel tempo; meglio una canzone semplice, con una melodia orecchiabile, capace di durare. Adesso c’è un ritorno alle vecchie sigle, scritte come una volta. Io penso che la sigla sia un genere a sé, quindi non deve seguirne altri! Forse ho contribuito a dare credibilità a questo genere musicale. Le sigle dei cartoni non sono filastrocche, né canzoni di serie B. Sono scritte per i bambini da fior di autori, e hanno una loro melodia, una struttura del testo, non sono composte tanto per buttare giù qualcosa.
Chi viene ai tuoi concerti?
Posso dire davvero che il mio pubblico sia eterogeneo. Io faccio due tipi di concerti. A metà novembre riprenderà la tournée con i Gem Boy e lì viene un pubblico “più adulto”, per così dire, dai diciottenni agli universitari, fino ai quarantenni un po’ nostalgici, magari. Poi porto in giro anche un mio format, che si chiama “Cartoon quiz”, per i bambini e le famiglie, nei teatri, nei centri commerciali. Tutti si divertono sempre molto.
20 maggio 2011