“Evangelii gaudium”, contro l’insidia della tristezza individualista

Presentata l’Esortazione aspostolica di Francesco. L’invito, per la Chiesa, a un rinnovamento missionario e un fermo no all’economia dell’esclusione e dell’iniquità di F. Cif.

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«Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». È l’inizio dell’Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, in cui il Papa ricorda che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» e rappresenta il migliore antidoto a «peccato, tristezza, vuoto interiore, isolamento». Al centro del nuovo documento, l’idea di un Dio che «non si stanca mai di perdonare», mentre «siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia». Dio «torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra, ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia». E il cristiano deve entrare «in questo fiume di gioia».

No, dunque a «cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua»: è il monito che il Papa rivolge a tutti i credenti, mettendoli in guardia dal rischio di quella «tristezza individualista» che identifica come «il grande rischio del mondo attuale». Al centro, dunque, l’invito a recuperare «la freschezza originale del Vangelo», per portare agli altri l’amore di dio in uno «stato permanente di missione». Il fondamento: la gioia del Vangelo, che «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù». Il cuore del nuovo documento, che nasce come compendio dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”, è l’idea di un Dio che «non si stanca mai di perdonare», mentre «siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia».

Papa Francesco invita allora a trovare «nuove strade» e «metodi creativi» e a non imprigionare Gesù nei nostri «schemi noiosi», abbandonando il «comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”». Quella che occorre, per il pontefice, è «una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno», e quindi una «riforma delle strutture» improntata a un “sogno”: quello cioè di «una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa – rivela il Papa – perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione». In questa direzione va anche l’idea di quella che Francesco definisce una «conversione del papato», segnalando la necessità di una «salutare decentralizzazione», con una maggiore «senso di collegialità».

«Dappertutto chiese con le porte aperte». Nel documento del Papa si traduce così questo «cuore missionario» che dà carne all’accoglienza di Dio, perché quanti sono in ricerca non incontrino «la freddezza di una porta chiusa». Di frequente, riconosce, «ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori, ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». Arrivare a tutti, «senza eccezioni»: questa la consegna del Papa, che torna ad affermare il «vincolo inseparabile» tra la nostra fede e i poveri. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze – scrive – . Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in ci sentiamo tranquilli».

No, dunque, a un «pessimismo sterile», ma neanche alla «mondanità spirituale». E alle comunità ecclesiali l’invito a far crescere la responsabilità dei laici, allargando anche gli spazi «per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa». Ancora, no «a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità», perché «questa economia uccide». E il Papa torna a stigmatizzare la «cultura dello scarto»: oggi, osserva, «tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole». Al contrario, «una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici», scrive il Papa, citando tra i mali del nostro tempo «una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista». Quindi, affrontando la «crisi culturale profonda» che attraversa la famiglia, ribadisce «il contributo indispensabile del matrimonio alla società», che supera il libello dell’emotività perché non nasce «dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi che accettano di entrare in una comunione di vita totale».

Da ultimo Francesco ribadisce «l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana», rivendicando per i vescovi il diritto di «emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone». Nessuno, scrive, «può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale». E conferma l’opzione per i poveri, che «hanno molto da insegnarci», l’invito ad avere cura dei più deboli: senza tetto, tossicodipendenti, rifugiati, popoli indigeni, anziani soli e abbandonati, migranti, vittime di tratta, e bambini nascituri, che sono «i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana». Su questa questione, afferma con forza il pontefice, «non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione: non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana». Quindi rinnova l’invito al dialogo e alla collaborazione con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali. «Nel nostro rapporto col mondo – conclude – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano»: può essere missionario « solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri»

26 novembre 2013

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