Giornalisti nonostante il web e il precariato
Il primo seminario di formazione su disagio e marginalità promosso dall’agenzia Redattore Sociale. David Randall: «I fatti hanno più valore rispetto alle opinioni» di Emanuela Micucci
Essere “giornalisti nonostante” la crisi economica, le difficoltà, il web. Raccontando le storie, consumando le scarpe in strada. Vogliono una “rivincita del cronista” i 210 giornalisti o aspiranti tali che ieri (15 aprile) hanno partecipato al primo seminario di formazione sui temi del disagio e della marginalità, organizzato a Roma dall’agenzia Redattore Sociale nel Centro provinciale di formazione professionale di Marino. «Un successo oltre le aspettative – spiega il direttore Stefano Trasatti – per questa edizione primaverile dei seminari di Redattore Sociale che abbiamo intitolato “Giornalisti nonostante”. Di fronte a un mestiere che sta cambiando vogliamo avere un approccio positivo perché questa è ancora una professione bella e possibile».
Nonostante la crisi economica e il precariato diffuso nelle redazioni. Circa 700 i posti di lavoro perduti su 16mila professionisti iscritti all’Inpgi. Tanti i contratti a tempo determinato non rinnovati. In totale circa 1.200 posti di lavoro in meno. Aumentano i collaboratori, sottopagati e privi di tutele. Tanto che metà degli iscritti all’ordine, oggi, è costituita da free-lance. Giornalisti nonostante la criminalità. Come i 200 cronisti minacciati negli ultimi 2 anni secondo l’Osservatorio Ossigeno. Nonostante la perdita di credibilità presso l’opinione pubblica che, secondo Astra, considera i giornalisti inadeguati (68%), gonfiatori di notizie (59%) e non indipendenti (52%). Giornalisti nonostante i blogger e il sempre più diffuso citizen journalism, quel giornalismo collaborativo che vede la partecipazione attiva dei lettori.
È ottimista David Randall, senior editor del settimanale Indipendent on Sunday di Londra: «Io sono un giornalista. Non mi importa se le mie notizie arrivano sulla carta stampata o sullo schermo». Il web, quindi, non è un problema per chi scrive, quanto per gli editori, che vedono ridurre gli investimenti pubblicitari sulla carta stampata. «Fuori da quella finestra – prosegue – c’è il mondo: parlane, fai il cronista. La cosa opportuna è utilizzare internet in modo diverso. I media più importanti dovrebbero costruire nessi verso il basso con i cittadini. Ma l’idea che cittadini giornalisti vadano a sostituire persone come noi è assolutamente folle. È come parlare di un cittadino dentista. Chi andrebbe da lui a farsi curare i denti? La maggior parte dei blogger scrivono quello che pensano». Per questo motivo oggi «c’è più bisogno dei media tradizionali, perché le informazioni e i fatti hanno molto più valore rispetto alle opinioni».
Di fronte alla rete, ai social network, interviene Paolo Butturni, segretario dell’associazione Stampa Romana, «è importante che ci sia qualcuno che faccia una gerarchia delle notizie e che aiuti a comprendere, che sveli le fonti e che ne determini la credibilità». Per Randall occorre «rivoluzionare la formazione», insegnando ai giovani «quelle leggine che spiegano i diritti e ci danno facoltà di intervenire». In sintesi, conclude, «giornalisti più raffinati, meglio formati, più bravi».
«Curiosi rispetto alla realtà – aggiunge don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco –, umili, onesti e competenti». Soprattutto quando si affronta il sociale, tanto complesso e di difficile lettura. Riccardo Iacona, autore di “Presadiretta” su Rai Tre, sottolinea la crisi della rappresentazione della realtà nel servizio pubblico televisivo: «Ci stiamo abituando alla propaganda di persone che stanno vendendo le notizie. Mancano l’approfondimento giornalistico, le inchieste. La televisione racconta la realtà a bassissimo valore aggiunto. Tutto questo ha a che fare con la cancellazione della realtà». La responsabilità del giornalista, allora, è «dare senso alle storie usando la chiave della cronaca e del racconto. Per spostare ognuno di noi in avanti di 1 millimetro la frontiera del raccontabile». La sfida è «rilanciare una cultura dell’informazione e la sua centralità in un sistema democratico – insiste Butturini –. L’informazione è un bene pubblico, esattamente come l’acqua. Ma oggi è diventata una questione di potentati».
16 aprile 2010