Il cardinale Ruini: le ragioni della fede

Intervista al presidente del Comitato Cei per il Progetto culturale, in occasione dell’uscita del libro scritto con il giornalista di Avvenire Andrea Galli: «Nella questione di Dio è in gioco tutto l’uomo» di Angelo Zema

«Sostenerci e motivarci a vicenda nella nostra scelta di fede; non ritirarci dalla cultura di oggi ma cercare di evangelizzarla in profondità»: è il compito che il cardinale Camillo Ruini indica ai cristiani che vivono in una società secolarizzata. Per diciassette anni vicario del Papa per la diocesi di Roma e per 16 anni presidente della Conferenza episcopale italiana, dal 2008 presidente del Comitato Cei per il Progetto culturale, il cardinale pone oggi tra i suoi impegni principali proprio quello di ripresentare le ragioni della fede, come fa nel libro «Intervista su Dio» (Mondadori), rispondendo alle domande di Andrea Galli, giornalista di Avvenire. Un volume approdato nei giorni scorsi nelle librerie, che sarà presentato ufficialmente mercoledì 19 settembre in Campidoglio.

«Le parole della fede, il cammino della ragione» è il sottotitolo del libro-intervista in cui Lei, Eminenza, accompagna il lettore sulle tracce di Dio. Due espressioni che mettono già in chiaro il senso del percorso del credente. Fede e ragione unite insieme.
Unite ma anche distinte. Le vie di accesso a Dio, infatti, sono fondamentalmente di due tipi: quelle che dal basso, cioè da noi, risalgono verso Dio, e quelle dall’alto, costituite cioè dal manifestarsi o rivelarsi di Dio a noi. La nostra ragione può rendersi conto dell’esistenza di Dio ma è in grado di dire chi Dio non sia piuttosto che chi Dio sia. La rivelazione di Dio in Gesù Cristo, invece, ci permette di conoscere il volto di Dio, il suo atteggiamento verso di noi: è questa la grandezza del cristianesimo.

Quello della ragione è dunque un cammino, che dà il senso del divenire, del non fermarsi mai. Quali sono gli strumenti che utilizza l’uomo in questo cammino alla ricerca di Dio?
Le vie di Dio sono infinite, dato che possiamo entrare in rapporto con lui attraverso le più diverse circostanze della vita. Se ci riferiamo agli argomenti razionali che conducono verso Dio, in essi entra in gioco certamente la nostra intelligenza, ma anche il nostro cuore e la nostra libertà. Nella questione di Dio, infatti, è in gioco tutto l’uomo, il senso e il destino della nostra vita.

Percorrendo il cammino della ragione è possibile incontrare uomini e donne che, pur non avendo nel cuore le parole della fede, sono disponibili a un dialogo proficuo sulle grandi domande dell’esistenza. Quanto è vivo oggi questo dialogo e quanto, d’altra parte, è invece messo alla prova?
È vivo e inestirpabile e dentro di esso vi è, almeno implicitamente, la ricerca di Dio. Questo atteggiamento è messo alla prova dallo scetticismo e dal relativismo molto diffusi, per i quali è impossibile conoscere la verità; e anche dalla crescente tendenza a ridurre l’uomo a una particella della natura. Tutto ciò però non può spegnere la sete dell’assoluto che fa parte del nostro essere.

Tornando a parlare dei credenti, Lei indica nel libro l’insufficienza delle statistiche sulla pratica religiosa rispetto al discorso della fede. È vero però che si accentua un distacco dalla mediazione della Chiesa. A cosa attribuisce questo atteggiamento? E quanto pesano alcune questioni «eticamente sensibili» presenti nel dibattito culturale e anche il ruolo dei media?
Dobbiamo guardare anzitutto dentro noi stessi, al nostro operato e ancor più alla qualità della nostra testimonianza di credenti: le inadempienze in questo campo purtroppo pesano molto. Pesa anche, però, la mentalità apparentemente libertaria e anti-istituzionale, che porta all’atteggiamento del «fai da te» anche in ambito religioso. In particolare gioca un ruolo negativo il pansessualismo, che asservisce la persona e in realtà divide l’uso del sesso dalla persona stessa. La pervasività che hanno oggi i vari mezzi di comunicazione tende inoltre a soffocare quello spazio interiore nel quale è più facile ascoltare la voce di Dio.

Oggi in Italia l’espressione pubblica della fede ha uno spazio che Lei giudica adeguato? O c’è una difficoltà con cui fare i conti?
In Italia lo spazio c’è, ma bisogna saperlo mantenere, con pazienza e umiltà cristiana ma anche con fermezza e determinazione, non avendo paura di quelle che in un’occasione chiamai scherzosamente «pallottole di carta».

Si parla molto degli effetti della secolarizzazione, eppure si notano i segnali di una ripresa dell’interesse verso il sacro. Come interpreta questa ripresa?
È una ripresa in atto da tempo e, in ultima analisi, è l’espressione di come noi siamo fatti. Non basta però affidarsi ad essa, bisogna stimolarla, sostenerla e anche «evangelizzarla», nel senso che la ripresa del sacro può andare anche verso forme deviate come la superstizione, il fanatismo o la magia.

Vede una peculiarità della situazione religiosa di Roma, che Lei ha ben conosciuto nei lunghi anni di ministero pastorale come vicario della diocesi del Papa? Le caratteristiche della metropoli quanto incidono negativamente? E quanto conta invece il ruolo di Roma come cuore della cristianità per il vissuto religioso della gente?
Le grandi città, con il loro anonimato e lo sradicamento frequente nelle grandi periferie, rendono certamente più difficile una presenza capillare della Chiesa. Roma però è consapevole del suo ruolo di centro del cattolicesimo, anche se dovrebbe esserlo molto di più. La presenza del Papa è comunque una fonte di benedizione e attira a Roma tante energie apostoliche di persone e gruppi che sono qui appunto perché Roma è la sede di Pietro.

Lo scopo del libro «Intervista su Dio», Lei dice, è «presentare le motivazioni razionali della fede in Dio». Un obiettivo che Lei persegue anche con il lavoro del Comitato per il Progetto culturale della Cei. Questo compito, che Lei ritiene indispensabile, come si può tradurre nell’impegno delle comunità cristiane?
Il mio libro intende rivolgersi a ogni persona che crede, o anche a chi è in difficoltà ma vorrebbe credere. Si rivolge poi, in particolare, a coloro che intendono testimoniare e diffondere la fede, come i sacerdoti, le religiose, ma anche tanti laici: il libro è infatti un aiuto per essere capaci di rendere ragione della fede e speranza che è in noi. L’ho scritto pensando a tutte queste diverse categorie di persone.

L’Anno della fede indetto da Benedetto XVI è un’opportunità in più per presentare le motivazioni della fede nel Dio di Gesù Cristo. Come utilizzarla?
È una grande opportunità e al tempo stesso un compito al quale dedicarci con autentica passione. Ci è chiesto perciò di essere «estroversi» nella nostra fede, come ad esempio la Missione cittadina svolta a Roma in preparazione al Giubileo del 2000 è stata un grande atto di estroversione della Chiesa di Roma verso tutta la popolazione della città. Occorre annunciare e testimoniare la fede, ma anche saper motivare la nostra testimonianza.

Eminenza, qual è la vera sfida per i cristiani di oggi che, di fronte alle insidie e alle spinte contrarie alla fede di larga parte della cultura attuale, potrebbero essere tentati dallo smarrimento?
La vera sfida è anzitutto essere saldi nella fede dentro noi stessi e per questo serve in primo luogo la preghiera. Dobbiamo inoltre sostenerci e motivarci a vicenda nella nostra scelta di fede; non ritirarci dalla cultura di oggi ma cercare di evangelizzarla in profondità, come già chiedeva Paolo VI. Agendo così faremo unità nella nostra vita: non avremo cioè una fede infantile che non regge la prova della mentalità e della cultura di oggi. Anche per questo ho scritto il libro su Dio.

17 settembre 2012

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