Nessuno conosce il Padre se non il Figlio
di Andrea Lonardo
Nella lunga vicenda storica della riflessione sul Gesù reale, sul Gesù storico, l’evangelista Giovanni è stato talvolta additato come l’annunciatore della figliolanza divina di Gesù, a motivo del suo straordinario prologo, quasi distaccandolo dalla testimonianza del resto degli scritti neotestamentari.
In ciò ha pesato certamente la datazione tardiva, verso la fine del I secolo, della redazione finale del quarto evangelo rispetto ai sinottici ed alle lettere –come è noto, il più antico scritto neotestamentario è la prima lettera ai Tessalonicesi, che viene datata con sicurezza negli anni 51/52 d.C. a motivo dei sincronismi con il proconsolato di Gallione in Acaia in At 18, 12.
Tutto il Nuovo Testamento, invece, invita a vedere come Giovanni sia da situare pienamente dentro la concorde voce degli altri scritti. Nell’epistolario paolino, fra le lettere autentiche dell’apostolo, risalta l’inno cristologico della lettera ai Filippesi (Fil 2, 6-11), scritta probabilmente fra il 53 ed il 58 d.C. (e, secondo alcuni studiosi, l’inno sarebbe anteriore a Paolo stesso) che afferma: «Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» (Fil 2, 6).
La lettera agli Ebrei, scritta probabilmente prima del 70, anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme -poiché descrive l’attività cultuale come ancora in funzione- si apre con il breve prologo che afferma che «in questi tempi, che sono gli ultimi, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1, 2).
Non solo le lettere, ma gli stessi vangeli sinottici ci testimoniano nell’importantissimo “inno di giubilo” il rapporto unico fra il Padre ed il Figlio: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc 10, 21-22). Si noti che il parallelo è in Matteo, il vangelo che si vuole più vicino alle radici ebraiche del cristianesimo, e che la presenza di questo testo nei due sinottici Matteo e Luca indica la sua provenienza dalla cosiddetta fonte Q (dal tedesco Quelle, che vuol dire fonte; il termine sta ad indicare una raccolta di detti di Gesù che potrebbe essere stata utilizzata dai due evangelisti e che sarebbe, pertanto, anteriore alla loro stesura e di una antichità ancora maggiore). Il disagio di storici ipercritici dinanzi a questo brano ha fatto sì che venisse etichettato come un “meteorite giovanneo” nei sinottici!
Lo stesso vangelo di Marco, il più antico dei vangeli, anteriore all’anno 70, conduce il suo lettore verso la grande domanda di Gesù: «Ma voi chi dite che io sia?» (Mc 8, 29). La domanda stessa manifesta che tutte le risposte proposte dalla gente sono fin lì inadeguate: Gesù non è uno dei profeti (Mc 8, 28). Si noti che la profezia si era misteriosamente interrotta in Israele da alcuni secoli e che l’attributo di profeta era il sommo riconoscimento degli inviati di Dio. Gesù non è uno dei profeti, perché è molto più di loro.
Proprio il suo insegnamento nel Tempio stesso, il luogo supremo veterotestamentario nel quale Gesù predica come Signore nella sua propria casa, esplicita ulteriormente questa superiorità sui profeti, nella parabola del vignaioli omicidi. Al padrone della vigna è rimasto ancora uno solo, il figlio prediletto, dopo l’invio di tutti i suoi messaggeri e profeti: «Lo inviò per ultimo dicendo: Avranno rispetto per mio figlio». Qui si manifesta il valore profondo delle parabole di Gesù che non sono semplici immagini per istruire persone di bassa cultura, ma sono auto-rivelazioni cristologiche. Nella parabola dei vignaioli appare l’intimo mistero dell’identità di Gesù. Egli stesso è non solo l’annunciatore del regno, ma, molto di più, colui attraverso il quale il regno del Padre è finalmente presente ed ogni uomo vi può entrare. Non un regno, quindi, che è altra cosa dall’identità del Figlio di Dio, ma quel regno che si identifica con la sua stessa presenza.
Si comprende qui la prospettiva di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI che, nel suo Gesù di Nazaret, spiega: «La famosa affermazione di Adolf von Harnack secondo la quale l’annuncio di Gesù sarebbe un annuncio sul Padre, di cui il Figlio non farebbe parte – e dunque la cristologia non apparterrebbe all’annuncio di Gesù – è una tesi che si smentisce da sola. Gesù può parlare del Padre, così come fa, solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La dimensione cristologia, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la «cristologia», è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù».
L’attestazione concorde di tutto il Nuovo Testamento, e non solo dell’evangelista Giovanni, ci pone dinanzi al mistero dell’identità personale di Gesù ed alla sua autoconsapevolezza che traspare in ogni sua parola ed in ogni suo gesto, dall’annuncio del regno alla nuova legge, dalla chiamata dei dodici al significato cristologico delle parabole, dai miracoli ai cosiddetti “titoli” cristologici.
Giovanni della Croce, nella Salita al monte Carmelo, rispondeva a chi gli domandava se fenomeni estatici o locuzioni o visioni fossero i segni distintivi della pienezza del cammino spirituale annunciando la completezza della Parola divina donataci in Cristo: «Chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa lo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità. Dio infatti potrebbe rispondergli: “Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!” (Mt 17,5). Se ti ho già detto tutto nella mia Parola che è il mio Figlio e non ho altro da rivelare, come posso risponderti o rivelarti qualche altra cosa? Fissa lo sguardo in Lui solo e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri: in Lui ti ho detto e rivelato tutto». Perché nessuno sa chi è il Padre se non il Figlio.
24 giugno 2008