Rigufiati, mostra e video alla Chiesa del Gesù
L’iniziativa in occasione della Giornata mondiale indetta il 20 giugno dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Padre La Manna: «Creare canali umanitari sicuri per raggiungere l’Europa» di F. Cif.
Inaugurata martedì 18 giugno, alla Chiesa del Gesù, la mostra fotografica “Santuario e Nutrimento”, voluta dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) in occasione della Giornata mondiale indetta il 20 giugno dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. L’esposizione, con foto scattate dal personale del JRS che opera sul campo in Medio Oriente e Africa, può essere visitata fino al 30 giugno nella Chiesa del Gesù.
Le immagini contenute nella mostra, esposta anche a New York e a Beirut, illustrano con grande impatto emotivo le realtà da cui fuggono i rifugiati e «il loro bisogno di assistenza materiale e spirituale», ha spiegato il presidente del Centro Astalli padre Giovanni La Manna. Proprio per questo «possono agire dove le parole non bastano nei cuori degli italiani», per avvicinarli a questa realtà «che spesso è accettata solo quando è molto lontana, mandando un sms per il ragazzo in Afghanistan, che però quando incontriamo alla stazione ci fa paura perché è sporco».
In più, sulla facciata della chiesa fino a venerdì 21 giugno, tra le 21 e le 2 di notte, viene proiettato un video di 12 minuti che illustra la vita e le difficoltà dei rifugiati. Un modo per ribadire l’antica vocazione dei santuario ad aprire le porte ai richiedenti asilo, in nome di una visione dell’ospitalità offerta ai rifugiati che comprende cibo, riparo, ma anche tolleranza ed educazione. «Davanti alle difficoltà – dice il direttore internazionale di JRS, Peter Balleis – il cibo e l’accoglienza nutrono e proteggono, l’ospitalità apre le porte, l’istruzione ricostruisce il futuro».
Immagini di guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti al centro della mostra, allestita così come il video in collaborazione con l’organizzazione no profit americana Art Works Projects for Human Rights, richiamano immediatamente le cronache di questi giorni. «Non vogliamo più vedere persone aggrappate a delle tonnare per poter chiedere asilo politico – ha dichiarato, nella conferenza stampa di presentazione, padre La Manna -. È urgente creare canali umanitari sicuri per permettere alle persone in fuga da guerre e persecuzioni di raggiungere l’Europa e vedere garantito il loro diritto di chiedere asilo». I sette morti di due giorni fa, ha continuato, «sono una bestemmia. Abbiamo fatto sì che il Mediterraneo divenisse un cimitero a cielo aperto. Poniamo fine alla strage di innocenti». Grazie al Jesuit Refugee Service e all’Unhcr «sappiamo che vi sono 100 mila rifugiati tra Siria e Turchia e possiamo intervenire per farli arrivare in sicurezza. Al contrario, poiché il viaggio verso l’Europa costa 5 mila euro, verrà di fatto favorito traffico di migranti».
L’iniziativa ha ricevuto anche un messaggio del presidente del Senato Pietro Grasso che, scrivendo al direttore del Jrs padre Balleis, ha ricordato come «i rifugiati sono persone come noi che per cause indipendenti dalla propria volontà sono costretti ad abbandonare la propria casa, il proprio Paese, il lavoro e spesso anche i familiari per ricominciare una nuova vita nel Paese ospitante». Quindi ha sottolineato il valore del «lavoro svolto da associazioni, istituzioni, volontariato e cittadini al fine di sensibilizzare il nostro Paese a dare una speranza a coloro che ci chiedono aiuto per riprendersi la propria vita». Come Beatrice Ngoie Mullumba, in Italia dal 2006 dopo essere fuggita dal Congo, anche lei intervenuta alla presentazione della mostra, con la sua testimonianza di ragazza rapita e imprigionata per la guerra e motivi politici, subendo «tutto quello che una donna voi sapete che può subire», poi salvata per caso da un vicino di casa che era militare e aiutata a fuggire da un sacerdote. Una volta in Italia Ngoie Mbullumba ha raccontato di essere stata chiusa in un centro di identificazione mentre era in attesa della protezione internazionale, e di essere poi stata aiutata dal Centro Astalli per i primi mesi di permanenza. «Ma lo Stato italiano non ha riconosciuto la mia laurea in economia dello sviluppo, per cui mi sono rimessa a studiare infermeria», ha raccontato. Quindi la sua denuncia: «L’accoglienza in Italia non funziona: la gente vive alla giornata. Anche chi ha progetti non può portarli avanti perché viene lasciato da solo. Le associazioni come il Centro Astalli aiutano ma non possono fare tutto».
19 giugno 2013