All’Argentina Soleri è Arlecchino
Dal 4 dicembre va in scena l’adattamento di Strehler del goldoniano “servitore di due padroni”. Nonostante i suoi 83 anni, Ferruccio Soleri «conserva la freschezza dell’invenzione» di Toni Colotta
Una pietra miliare nel cammino dell’interpretazione teatrale sta per rivivere sul palcoscenico dell’Argentina da martedì 4, una messinscena nata nel 1947, divenuta mitica con le reiterate riprese nei decenni seguenti: parliamo del goldoniano “Arlecchino servitore di due padroni” che il compianto Giorgio Strehler plasmò per la ribalta del Piccolo Teatro di Milano. Erano tempi in cui si stava stagliando nel mondo della scena, non senza polemiche, la figura del regista, un «conduttore» che improntava a una visione unitaria personale ogni elemento della rappresentazione. In quel suo exploit Strehler, regista per talento naturale, aveva ripescato un testo scritto da Carlo Goldoni nel 1747 per attori della commedia dell’arte, “Il servitore di due padroni”; non un copione vero e proprio, quindi, ma una traccia che i comici dovevano integrare improvvisando.
Il committente, Antonio Sacchi, era già di suo un grande della scena per la personificazione di Truffaldino, con la quale incantò Goethe. Divenuto poi Arlecchino, restando il perno di questo scenario, al punto da entrare nel titolo. Il nostro geniale regista, cercando le tracce delle perdute tecniche dei comici, ne trasse un gioiello di ritmi vorticosi e di comicità scattante, sorretti da un dialogo serrato che lasciava spazio all’estro degli attori. Con una «scena madre», quella in cui Arlecchino, dovendo servire un pranzo a due padroni deve esibirsi in un frenetico volar di piatti, suscitando gli applausi scroscianti della platea. Fin dal debutto del ’47 il personaggio, con il caratteristico costume a losanghe multicolori, si identificò con l’interprete, un magnifico Marcello Moretti, che sottendeva alle acrobazie un fondo di umanità, ammirato ovunque nel mondo si replicasse lo spettacolo. Scomparso prematuramente, subentrò nella parte Ferruccio Soleri che, guidato da Strehler, accentuò la vivacità mimica riscuotendo anche lui grande ammirazione.
Incredibile ma vero, Soleri, pur portando sulle spalle 83 primavere, riveste ancora – anche all’Argentina – i panni e lo spirito di Arlecchino dopo aver sostenuto la maggior parte delle oltre 2.800 recite totalizzate dallo spettacolo strehleriano. Che conserva la freschezza dell’invenzione, lasciando intravvedere nella trama certi risvolti sociali come la spregiudicatezza femminile, o il peso di un’imperante borghesia raggirata da Arlecchino. Su tutto si erge la sua maschera. Un ventennio fa Odoardo Bertani scrisse proprio su queste pagine: «Arlecchino è un valore, un “unicum”, e restituisce senso e varietà a un’epoca dell’arte scenica. Ha una forza semantica definitiva, e ci dice che questo è il ridere dell’uomo, il ridere anche del caso, dei suoi tranelli e degli equivoci che può ingenerare».
3 dicembre 2012