Massimo Biondi: combattere il “male oscuro”

Lo psichiatra fa il punto sulla depressione: una malattia della mente e non solo che colpisce una persona su 4 di Elena Grazini

Colpisce a tutte le età e si stima che una persona su quattro ne abbia sofferto durante l’arco della vita. Si tratta della depressione. Roma sette ne ha parlato con Massimo Biondi, classe 1952, professore ordinario di psichiatria presso la 1ª Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università La Sapienza di Roma, ateneo nel quale è a capo del Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica. Direttore dell’Unità operativa complessa di Psichiatria e Psicofarmacologia clinica e del Dipartimento di salute mentale del Policlinico Umberto I, Biondi ha pubblicato 17 libri e oltre 300 lavori scientifici in Italia e all’estero. Relatore a numerosi congressi, sia nazionali che internazionali, ricopre molti ruoli. Tra gli altri, è vicepresidente della Società italiana di medicina psicosomatica, membro del Consiglio della Fondazione italiana per lo studio della schizofrenia e del Consiglio direttivo della Società italiana di psicopatologia.

Professore, si usa spesso il termine “depressione” senza sapere in profondità di cosa si tratta. In quali situazioni essere depressi non indica solo una sensazione generale e diffusa di tristezza ma qualcosa di più pericoloso?
La tristezza è uno stato d’animo comune a tutte le persone. Se si perde una persona cara, si vive una separazione, si soffre per un fallimento, è normale, anzi è giusto, diciamo, essere tristi. La tristezza e l’infelicità vanno però separate dalla malattia depressiva. Bisogna fare attenzione quando lo stato di tristezza persiste per più di 2-3 settimane, è presente tutti i giorni o quasi, se è marcato e produce sofferenza soggettiva e se è sproporzionato rispetto alle cause. L’altro punto da valutare è se i sintomi producano una compromissione nelle capacità, ad esempio nel lavoro, nel rapporto con gli altri, con il partner.

Quali sono le cause della depressione?
Innanzitutto si deve parlare di diversi tipi di depressione. Ci sono depressioni legate a eventi di vita: problemi del lavoro, separazioni, perdite, malattie. Poi ci sono depressioni su base fisica, connesse a disfunzioni del metabolismo, degli ormoni, o ad altre cause, e quelle stagionali, in genere in autunno e primavera, le cui cause sono biochimiche. Esistono inoltre depressioni senza un’apparente causa, che venivano chiamate “endogene”, ma oggi questa distinzione non c’è più. In questi casi la persona sta male, e sta male anche fisicamente.
Siamo invece di fronte a depressioni bipolari quando si alternano delle fasi di depressione, anche molto lunghe, di mesi, a fasi di euforia e di iperattivismo. Infine ci sono coloro che risultano depressi nel carattere, gli eterni scontenti, chiamati “distimici”.

Quando e come colpisce la depressione?
La depressione, purtroppo, colpisce a tutte le età, e maggiormente le donne. Si stima che una persona su quattro nell’arco della vita ne abbia sofferto. In Italia l’incidenza per le forme più gravi si aggira intorno al 4-5% della popolazione, mentre se allarghiamo la valutazione a tutte le forme si viaggia sul 10-12%. Il nodo del problema è che spesso la depressione non viene riconosciuta. Molte forme non compaiono come noi siamo abituati a pensarle, ossia con manifestazioni di tristezza, ma con una sensazione di stanchezza, affaticamento, dolori nel corpo, disturbi che fanno pensare a qualcosa di carattere fisico.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 90% di tutte le persone depresse non sono riconosciute come tali. Cosa impedisce alla depressione di essere trattata come una malattia a tutti gli effetti?
Diverse ragioni. La prima è la mancanza di conoscenza del fenomeno; in secondo luogo c’è un senso di vergogna. Solitamente chi ne soffre si chiude nel silenzio e pensa che non ci si possa fare nulla e tutto dipenda da una questione di volontà, atteggiamento che si rivela un grande errore perché la depressione comincia laddove la volontà finisce. Non c’è infatti peggior cosa che dire ad un depresso: «Fai uno sforzo». La depressione comincia quando finiscono le energie.

Che cosa non è stato ancora compreso di questa malattia?
Non è stato compreso che la depressione non è solo un male dell’anima. Recentemente abbiamo pubblicato parecchi studi all’estero, in cui si afferma che la depressione è un disturbo della mente e del corpo. Ci sono ad esempio delle alterazioni nel fisico: mi riferisco ad alterazioni ormonali, a un’accresciuta sensibilità al dolore, a un aumentato rischio cardiovascolare. Esiste un intreccio molto stretto tra la depressione e le malattie organiche, tant’è che da qualche anno, in diversi Paesi, sono stati registrati dati epidemiologici di rilievo che hanno evidenziato come questa malattia sia un fattore di rischio per il diabete e per le malattie della pelle. È come se la depressione colpisse anche il corpo. Va detto quindi che, se è vero che la depressione è fatta di tristezza, stanchezza e delle altre caratteristiche che abbiamo indicato, è altresì fatta di alterazioni fisiche, di un alterato assetto del sistema endocrino, immunitario. Sono alterazioni sfumate ma persistenti, che influenzano la reattività del corpo di fronte a certi fattori di rischio classici di altra natura.

Quali sono le terapie per combattere la depressione?
In linea di massima sono due: farmaci e psicoterapia specifica. Due terapie che vanno poi combinate a seconda delle caratteristiche del paziente e del tipo di depressione. Più è grave, più è necessaria la cura farmacologica, che va fatta per mesi sotto controllo psichiatrico. Di volta in volta, poi, può essere opportuna una psicoterapia. La psicoterapia, da sola, è difficile che sia sufficiente, tranne che nelle forme lievi.

Si può prevenire la depressione?
Innanzitutto bisogna imparare a riconoscere la depressione dai primi sintomi. Poi, certo, ci sono delle tecniche più semplici, ad esempio uno stile di pensiero antidepressivo e uno “depressogeno”, che ritengo essere strumenti potenti. Sono delle vere e proprie metodiche. Alcune persone sono più fortunate e le hanno insite nel carattere, altre le possono imparare. Queste metodiche insegnano a guardare al momento attuale e a non rimuginare troppo sul passato, insegnano a concentrarsi su ciò che si può fare e non su ciò che non si ha più. Sono insegnamenti molto concreti che possono aiutare sia ad evitare che in circostanze avverse ci si deprima, sia a potenziare le cure facilitando la ripresa più rapida.

Giornali e televisioni titolano continuamente a proposito di storie di tragedie familiari, come l’ultima accaduta nel Veronese, dove spesso viene fuori la parola “depressione”. Cosa ne pensa?
Chiaramente bisogna distinguere caso per caso. Generalmente in tutte le situazioni in cui c’è una persona che uccide i propri cari e poi si suicida si pensa alla depressione. Solitamente però si tratta di una depressione combinata con un’aggressività impulsiva. Sicuramente non tutti i depressi sono a rischio rispetto a eventi del genere; solo una minima parte. Premesso ciò, in questa malattia esiste una componente di rabbia e impulsività che spesso viene o nascosta o taciuta e che invece un bravo psichiatra sa cercare e trovare. Questa aggressività è presente in modo significativo in un caso su 3 o su 4 e si trasforma in scontento, irritabilità, che può essere rivolta verso di sé o verso gli altri. L’aggressività autodiretta porta al suicidio, la persona si colpisce oppure pensa che la vita non sia più degna di essere vissuta e protegge i suoi, uccidendoli (aggressività eterodiretta), per difenderli dalla vita.

È possibile che niente faccia presagire a gesti così estremi?
In genere quando si va a fare un’indagine più approfondita si scopre che c’è stato un percorso lento, che alle volte dura mesi, e che i segnali non sono stati recepiti. In questo senso in prima linea sono i familiari, e poi i medici curanti che devono imparare a riconoscere questi quadri a rischio, e gli psichiatri del territorio di appartenenza dei Dipartimenti di salute mentale. Noi fortunatamente, nella maggior parte della nostra penisola, abbiamo una buona rete di servizi aperti anche nell’arco di 12 ore, che possono essere d’aiuto. Certo il problema è anche dato dal fatto che, sulla base di una visita, può essere difficile valutare una situazione di rischio. Rimane comunque una buona potenzialità d’intervento.

16 febbraio 2006

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