Sostenere la famiglia

L’intervista ad alcuni esperti in vista del “Family day” del 12 maggio in piazza San Giovanni in Laterano di Massimo Angeli

«Il bene della famiglia è il bene del Paese». Questo lo slogan sotto al quale scenderà in piazza, sabato 12 maggio a San Giovanni, gran parte dell’associazionismo cattolico. Una manifestazione, quella organizzata dal Forum delle Associazioni Familiari, alla quale hanno già aderito oltre 150 associazioni, dalle Acli al Cammino Neocatecumenale, dalla Coldiretti alla Comunità di Sant’Egidio e ai Giuristi Cattolici, per promuovere «in modo apolitico e apartitico», la famiglia, trascurata e messa ai margini della vita politica.

Luogo della crescita e della prima socializzazione; della tutela verso minori, anziani, malati, portatori di handicap; ammortizzatore sociale per “tamponare” problemi dei componenti deboli: questi i ruoli che ne fanno un potente soggetto sociale, ma anche la vera priorità nelle politiche del Paese. «Il mondo politico sa bene quanta parte del Paese gravi sulle spalle della famiglia, ma fa finta di niente – spiega il prof Riccardo Prandini, docente di Sociologia della Famiglia all’Università di Bologna -. Per la classe dirigente è molto più comodo non vedere che organizzare risposte e finanziare servizi. È, insomma, la famiglia a essere sussidiaria dello stato e non viceversa».

Lavoro e casa, ma anche risposte al bisogno di relazioni, sono le urgenze indicate da più parti per sostenere la famiglia. «È evidente che senza interventi per sostenere l’occupazione e l’acquisto di un alloggio, le giovani coppie non sono incentivate a mettere su famiglia – sottolinea Lidia Borzì, presidente regionale della Acli -, ma non si deve dimenticare la solitudine di tanti nuclei familiari. Per questo accanto a interventi per sostenere la flessibilità dell’occupazione e per rendere accessibile il mercato immobiliare, è necessario prevedere una rete di protezione per le famiglie sole e fragili. In poche parole investire sulla famiglia come capitale sociale, uscendo dalle logiche dell’emergenza e mettendola al centro della vita politica del Paese».

«Quando si parla di disoccupazione si pensa sempre a quella giovanile, ma c’è un altro dramma che mette a dura prova le famiglie, ed è quello di chi perde lavoro in età avanzata – indica Luciano Penna, tra i responsabili di “Atdal-Over 40”, associazione che si propone di dare visibilità ai disoccupati in età matura -. In Italia oltre 700mila famiglie si trovano in questa situazione, magari con il mutuo da pagare e un figlio che va all’università. Persone troppo giovani per la pensione e troppo vecchie per sperare in un nuovo lavoro». Per affrontare con serenità questo momento ci sarebbe bisogno di coperture assicurative, incentivi alle aziende che assumono lavoratori adulti, centri per l’impiego attrezzati ad affrontare queste situazioni, «ma il decreto legge che si occupa della materia ancora non è arrivato in discussione».

«Non essendo un tema fondamentale per la politica – continua Prandini -, la famiglia è stata lasciata al “fai da te”. In un contesto sociale semplice, come quello che abbiamo vissuto fino alla fine degli anni ’70, questo poteva ancora andare, ma in una società complessa come quella in cui siamo entrati dopo, la famiglia è andata in crisi in tutte le sue relazioni, nei rapporti interpersonali, con la scuola, col mondo del lavoro».

«Le famiglie che incontriamo denunciano la percezione di non essere più dei punti di riferimento per i propri figli – racconta la psicologa Manuela Caselli che, col progetto “Crisalide”, si occupa di sostegno alla genitorialità in alcune parrocchie romane -. I ragazzi sono sollecitati da tanti messaggi, spesso ingannevoli, che i genitori non riescono a contrastare. La società procede tanto velocemente che i ruoli vanno rivisti di continuo – prosegue -, le famiglie andrebbero aiutate ad aggregarsi, per confrontarsi e ripensare al loro ruolo educativo. Imparare a trasmettere coerenza e modelli ai quali ci si conforma per primi».

«Dal nostro osservatorio ci rendiamo conto che molte coppie arrivano immature al matrimonio – dice, invece, la Valeria Longo Carminati, responsabile del Consultorio Familiare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore -. È vero che nella vita di coppia si scontrano due modelli educativi, ma è anche vero che il matrimonio richiede l’assunzione di responsabilità che tanti faticano ad accettare. Il matrimonio è anche sacrificio, genera conflitti che vanno affrontati, pena lo scaricare sui figli le tensioni di una vita poco felice. È la comunità a doversi prendere cura dei nostri ragazzi per farli maturare in maniera equilibrata e aiutandoli a progettare la loro vita».

2 maggio 2007

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