“Vangelo e letteratura”, tracce di bellezza
Sei brevi saggi e 105 pagine, per l’ultima fatica di Giovanni Casoli, edito da Città Nuova di Andrea Monda
Secondo Giovanni Casoli, per il destino dell’uomo contemporaneo si aprono due strade alternative, entrambe indicate profeticamente da due versi di Holderlin: o «poeticamente abita l’uomo su questa terra», oppure «un segno siamo noi, senza interpretazione». Questo è solo uno dei pensieri che scaturiscono dalla lettura dell’ultima fatica editoriale di Giovanni Casoli, romanziere e poeta ma soprattutto intelligente studioso della bellezza, che con i suoi volumi ormai da anni rappresenta un punto di riferimento per la difficile arte della critica letteraria. L’ultimo, “Vangelo e letteratura”, è poco più che un volumetto (105 paginette), ma assai prezioso.
Diviso in sei saggi brevi, apparentemente scollegati, questa raccolta rappresenta un punto alto di arrivo delle ultime ricerche del professore romano. Casoli è un innamorato della bellezza, e lo è «alla Dostoevskij», che non a caso cita ripetutamente: una bellezza che salva il mondo perché porta a Cristo, perché è Cristo. Viene così a costituirsi una sorta di catena: l’uomo è colto dalla bellezza ed è condotto a Cristo e, attraverso Cristo, a Dio, in cui può realizzare finalmente se stesso. Una catena virtuosa, che libera anziché schiavizzare, il cui primo anello si può trovare tra le migliaia di pagine dei poeti e degli scrittori. «Potremmo definire – afferma Casoli – tutta la letteratura che lentamente nasce dalla fede, dalla spiritualità e dalla cultura cristiana, il racconto dell’individuo che con la grazia di Dio si sforza di realizzarsi lungo l’asse vettoriale del tempo».
Ma a volte questa catena si spezza, e l’uomo diventa quel segno senza interpretazione di cui parlava Holderlin. È questa la condizione che sembra attanagliare l’uomo contemporaneo, che ha scisso il legame sia con la realtà sia con la verità, una frattura che si è ripercossa anche al suo interno: quello novecentesco è l’uomo «frantumato» di cui parla tanta letteratura. Una frattura «figlia» di quella che si è aperta nel rapporto tra l’uomo e Dio alla fine del Medio Evo, che è andata avanzando gradualmente, rendendo la vita sempre meno «poetica». Questo della poesia e della sua «funzione» è un nodo centrale nella riflessione di Casoli: «La poesia non serve, perché regna», afferma. Poi passa a spiegare la differenza tra la poesia e il «poetico», cioè «l’ornamento e l’abbellimento, le rime facili e i facili versi liberi»: la prima, la grande poesia di ogni tempo, è «quella che guarda dentro la realtà delle cose e la loro verità, nel suo modo unico, non meno penetrante di quello della grande filosofia, della grande teologia, della grande arte, e così via». La poesia ha quindi una sua propria dimensione conoscitiva al pari della filosofia, ci dice Casoli che è a un tempo poeta e filosofo, grazie alla sua intelligenza acuta, a tratti anche ruvida e «scomoda», ma sempre capace di maneggiare i versi e i ragionamenti con uguale maestria.
“Vangelo e letteratura”, Città Nuova, pp.105, 9 euro
20 aprile 2008