Carcere: nel Lazio quasi la metà dei detenuti ha una pena sotto ai due anni

La relazione annuale del Garante regionale. I detenuti sono 6.500 a fronte di 5.252 posti regolamentari. Anastasìa: incrementare misure alternative

«Un anno complicato ma in cui non sono mancati risultati e passi in avanti e in cui si sono poste le basi per sviluppi ulteriori». Strutture, sovraffollamento, assistenza sanitaria, minori, stranieri, lavoro, studio e suicidi: è una foto in bianco e nero, con molte zone d’ombra, ma anche con qualche apertura, quella che restituisce la relazione annuale dell’attività svolta dall’ufficio del garante dei diritti delle persone private della libertà del Lazio, terza regione in Italia per numero dei detenuti, dopo Lombardia e Campania. Questa mattina, 7 maggio, la presentazione del report nella Sala Mechelli del Consiglio regionale.

Carcere e sovraffollamento. «Siamo di nuovo sopra i 60mila detenuti in Italia, 6.500 nel Lazio, a fronte di 5.252 posti regolamentari – spiega il Garante Stefano Anastasìa -. Negli ultimi due mesi la popolazione detenuta ha smesso di crescere ma la situazione resta critica perché non c’è un’inversione di tendenza mentre si registra una decrescita dei reati. È dunque l’effetto di un allarme sociale che, per quanto infondato, pesa sulle prassi e sugli orientamenti degli operatori della sicurezza e della giustizia». Il sovraffollamento, pari al 118 per cento in Italia, è al 124 per cento nel Lazio. Anche la percentuale di detenuti stranieri è più alta nel Lazio che in Italia, con evidenti criticità nella gestione di istituti di pena privi di mediatori culturali e nello stesso accesso alle alternative al carcere, fortemente limitate dalle condizioni socio-anagrafiche. Più del 40 per cento dei condannati in esecuzione penale in carcere ha un residuo pena inferiore ai due anni, nel Lazio quasi il 50 per cento. «In questa regione – sottolinea il Garante – il sovraffollamento non esisterebbe se i condannati a meno di un anno potessero accedere alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova al servizio sociale».

Le strutture. «Particolarmente critiche – spiega Anastasìa – le condizioni delle carceri di Latina, Cassino, Regina Coeli e Civitavecchia Nuovo complesso: principali carceri di ingresso nel sistema penitenziario regionale. Lo stato del patrimonio penitenziario italiano è desolante, nelle strutture e nelle suppellettili. Quasi dappertutto le docce sono fuori dalle stanze, in condizioni critiche, l’acqua calda in stanza è una rarità e in alcuni istituti c’è ancora il water a vista. Per non parlare della nudità degli spazi comuni, dell’accoglienza dei familiari in visita o delle condizioni degli impianti sportivi. Continuiamo a rinviare il problema della qualità degli spazi detentivi a quando avremo finito di affannarci sulla soglia dei tre metri quadri a testa prescritti dalla giurisprudenza Cedu, ma forse solo affrontando il problema della qualità riusciremo a risolvere il problema della quantità».

I minori. «A dispetto di una certa, morbosa, attenzione mediatica – spiega il Garante -, il sistema della giustizia penale minorile continua a dare buona prova di sé». Sono ulteriormente diminuiti gli ingressi nel Centro di prima accoglienza di Roma, leggermente aumentati quelli a Casal del Marmo e stabilizzati i collocamenti in comunità. «Su ciascuno di questi percorsi pesano i ragazzi italiani, anche se a Casal del Marmo restano trattenuti gli stranieri e una percentuale di ragazze non corrispondente agli ingressi in Cpa e in Ipm, segno di una loro maggiore difficoltà ad accedere alle misure di comunità. Poco meno della metà sono i giovani adulti, tra i 18 e i 25 anni, autori di reati compiuti da minorenni, che vengono ospitati in Istituto».

Rems e Tso. Nel Lazio ci sono 5 strutture per 91 posti disponibili e al 31 dicembre risultavano internate 84 persone. «Significativo – commenta il Garante – il riequilibrio tra misure di sicurezza provvisorie, internamenti di semi-infermi e destinatari di misure di sicurezza definitive a favore di queste ultime. Per quanto insufficiente, è importante anche la riduzione della lista d’attesa, da 70 a 52 persone». Nel 2018, sono state 43 le persone dimesse, di cui 30 in libertà vigilata presso comunità terapeutiche, tre in libertà vigilata con prescrizioni, cinque per revoca della misura e tre per trasferimento in carcere. «Sulla malattia mentale e il trattamento sanitario obbligatorio per motivi di salute psichica – annuncia Anastasìa – inizieremo un monitoraggio specifico dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura e delle sue forme di disposizione e di applicazione. Intanto registriamo il dato fornito dal Dipartimento di epidemiologia al Garante nazionale, secondo cui i ricoveri con Tso nel Lazio sono in costante calo e, tra essi, quelli con diagnosi di disturbi psichici».

Il lavoro di un anno. Sono state prese in carico 631 delle 841 persone private della libertà che si sono rivolte all’ufficio. «Fatte salve il gran numero di richieste di contatto per ragioni di studio, vera specialità di questo ufficio e di questa regione che, anche grazie all’impegno di alcuni atenei ha un quarto dei detenuti iscritti all’università in Italia, il maggior numero di contatti sono motivati da problemi riferibili alle condizioni di detenzione, all’assistenza sanitaria e alla richiesta di trasferimento». Alle visite e agli interventi si affianca il lavoro di confronto istituzionale e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Salute in carcere. L’assistenza sanitaria resta una delle maggiori preoccupazioni dei detenuti. Dall’Osservatorio regionale sulla sanità penitenziaria sono emerse le necessità di: potenziare la medicina specialistica, attivare una diversa modalità operativa dei Dipartimenti di salute mentale in carcere, verso una presa in carico effettiva del detenuto infermo di mente, informare i detenuti sui servizi offerti, garantire continuità terapeutica e informatizzazione della cartella clinica.

Lavoro, formazione e previdenza sociale. Istruzione scolastica con discreta diffusione anche se «ogni anno – sottolinea il Garante – deve confrontarsi con minacce di tagli di classi che non tengono conto dei difficili percorsi. D’altro canto, l’Amministrazione penitenziaria continua a non ponderare con la dovuta accortezza i trasferimenti dei detenuti che spesso interrompono percorsi di studio e di istruzione non proseguibili nelle nuove sedi di destinazione». Sul lavoro si registra «un impoverimento dell’offerta di lavoro minimamente qualificato, retribuito e con una prospettiva di stabilizzazione». Situazione che pone in rilievo «la scelta di Roma Capitale di riproporre la clausola sociale di valorizzazione dell’inserimento lavorativo dei condannati nei propri appalti pubblici. Anche altri enti territoriali e aziende pubbliche potrebbero muoversi in questa direzione, dando un contributo effettivo ai processi di reinserimento delle persone detenute».

Suicidi e morti in carcere. «I dati in regione sono ambivalenti: al contrario che a livello nazionale, diminuiscono i suicidi, ma aumentano le morti – sottolinea il Garante ricordando i due bambini uccisi dalla madre a Rebibbia -. In carcere ci si uccide 17 volte più che fuori perché il carcere è un luogo in cui la sofferenza personale e la pena per la propria condizione di vita sono acuite dalla perdita della libertà. L’Amministrazione penitenziaria, con l’ausilio del personale sanitario, deve fare tutto quello che può per prevenire simili eventi, e l’adozione dei Piani di prevenzione del rischio suicidario in quasi tutti gli istituti di pena della regione va in questo senso. Ma non si può pensare di debellare il suicidio dalle carceri o di attribuirne la responsabilità all’agente di sezione che ha tardato qualche secondo ad affacciarsi allo spioncino. Piuttosto bisognerebbe ponderare con più attenzione le stesse scelte di carcerazione, sia in fase cautelare che in fase esecutiva, e nel corso di essa fare attenzione a quei momenti e a quelle situazioni ad alto rischio, come la rottura di una relazione familiare, il sopraggiungere di un nuovo titolo di detenzione, l’esecuzione di un provvedimento disciplinare». (Teresa Valiani)

7 maggio 2019