Disturbi alimentari: tra le ragazze aumento fino a 280%

Armando Cotugno, che gestisce la struttura residenziale inaugurata nell’ex Santa Maria della Pietà, parla di «emergenza epidemiologica. Nei casi più gravi, è necessario il ricovero»

È una vera e propria «emergenza epidemiologica», con numeri altissimi e vittime giovanissime: parliamo dei disturbi alimentari, che con la pandemia e soprattutto con il lockdown hanno registrato, appunto, un aumento notevolissimo. «Confrontando i dati registrati un anno e mezzo prima e un anno e mezzo dopo il bimestre marzo-aprile 2020, rileviamo un aumento generale del 94%, ma addirittura del 208% tra i 12 e 17 anni». Lo riferisce Armando Cotugno, direttore dell’unità per i Disturbi del comportamento alimentare della Asl Roma 1, che già gestisce l’ambulatorio e il centro diurno per i disturbi alimentari, nel Padiglione 14 dell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà e che qui ha inaugurato, nei giorni scorsi, la prima struttura residenziale pubblica della città. I dati fanno riferimento al territorio della Asl Roma 1, ma «questa conta oltre un milione di abitanti – osserva Cotugno – e quindi possiamo considerarli significativi a livello nazionale. Inoltre, anche i dati del Bambino Gesù e quelli europei rivelano un aumento importante, di almeno il 30-40%. Possiamo a tutti gli effetti parlare di emergenza epidemiologica».

La Asl Roma 1 ha già una struttura ambulatoriale dedicata e, nell’ottobre 2021, ha attivato un centro diurno. «Ora a questi servizi si aggiungerà la possibilità di un ricovero residenziale, che ha come specificità l’attività riabilitativa, nei casi in cui sia necessaria un’intensità terapeutica. È rivolta a pazienti dai 12 ai 25 anni, perché in questo momento i dati epidemiologici ci dicono che il problema si presenta soprattutto in questa popolazione. Abbiamo 100 pazienti in lista d’attesa, di cui 92 sono minori e i maggiorenni hanno meno di 25 anni: una popolazione molto giovane, quindi, per la quale un intervento precoce ha un’alta probabilità di successo in termini di abbassamento della quota di cronicizzazione. La struttura residenziale va a colmare quindi, seppur parzialmente, un vuoto nei servizi: vuoto che ci costringeva, fino a oggi, a inviare i nostri pazienti più gravi fuori regione, quando necessitavano di ricovero: in questo momento, per esempio, una ragazza di 14 anni, di Roma, è ricoverata a Villa Miralago, al confine con la Svizzera. Con tutto ciò che ne consegue, in termini di separazione dalla famiglia e allontanamento dal proprio contesto sociale e di vita. La residenza – spiega – è quel tassello di maggior intensità di ricovero che consente la continuità delle cure. Proprio stamattina, qui al padiglione 14, dove abbiamo già ambulatorio e attività diurna, ho visto una nostra paziente di 14 anni, che seguiamo da un anno e che inviammo al Bambino Gesù, perché presentava un grave stato di malnutrizione: sta meglio, ma non sta bene, per cui abbiamo deciso, d’accordo con i genitori, di ricoverarla nella nuova struttura, che diventerà operativa a giugno. Ci siamo resi conto che l’attività diurna e quella ambulatoriale non sono sufficienti: occorre un intervento residenziale riabilitativo psico-nutrizionale, dove l’aspetto psicologico va di pari passo con l’aspetto nutrizionale. Come in tutte le patologie – rileva lo specialista -, a volte è necessaria un’intensità della cura. In questo caso, a differenza della maggioranza delle altre strutture residenziali, avremo la fortuna di disporre dei tre livelli di intensità di cura nello stesso spazio. Questa struttura fornirà una riabilitazione intensiva a ragazze che devono essere aiutate a mangiare. Parliamo di situazioni in cui il disturbo è molto marcato e, per vincere il rifiuto e l’ostinazione, le famiglie da sole non possono essere efficaci. È qui che diventa necessario un intervento di maggiore intensità, che riporti le ragazze a mangiare in maniera adeguata e a reinserire alimenti (carboidrati, principalmente). Un intervento di maggiore intensità permette di non ricorrere successivamente a un ricovero ospedaliero».

Implementare i servizi, le risorse e gli interventi è tanto più necessario e urgente nel momento in cui il problema diventa, appunto, emergenza, com’è accaduto a partire dalla pandemia. «Non tanto la pandemia, quanto il lockdown ha determinato questo aumento dei disturbi alimentari, soprattutto tra le ragazze – spiega ancora Cotugno -. E sempre di più, i disturbi alimentari della fascia adolescenziale giovanile vanno di pari passo con comportamenti autolesivi. Abbiamo visto l’esplosione di questo problema soprattutto tra 12 e i 25 anni. I due disturbi alimentari principali sono quello restrittivo (anoressia nervosa) e la bulimia nervosa: in epoca post-covid, tutti i dati epidemiologici ci dicono che c’è stato soprattutto un aumento della forma restrittiva, che colpisce molto di più della prima». Ma perché questo legame tra lockdown e disturbi alimentari? «Perché l’adolescenza è il periodo in cui ci formiamo il senso di identità personale e sociale. Questi ragazzi sono stati costretti a vivere a casa, interrompendo il rapporto con i coetanei e con un contesto sociale che è fondamentale, soprattutto dopo la pubertà, nella costruzione di un sentirsi efficace. L’adolescente si è trovato di colpo da solo, con rapporti sociali “come se fossero veri”, proprio nel momento in cui avvengono i famosi riti di passaggio, nei quali è fondamentale la comunità. Questa ritualità, già impoverita, con il lockdown è saltata, con conseguente interruzione di questo processo di sviluppo neuropsicologico e psicosociale e aumento del senso di vulnerabilità. Ci si potrebbe chiedere perché queste ragazze si fissino proprio sulle forme corporee. Perché in quel periodo – è la spiegazione – tutti diamo alla nostra immagine corporea un valore importante, che determina il modo in cui ci sentiamo con noi stessi e con gli altri. E quando a quell’età ci sentiamo più vulnerabili, andiamo di più a controllare le forme, appunto perché l’immagine corporea è un tassello fondamentale della nostra identità. Venendo meno il rapporto con il mondo, quelle ragazze (e in misura minore i ragazzi) si sentono incapaci e insicure e tendono ancora di più a controllare peso e forme corporee».

Non basta però intervenire sul paziente, o meglio sulla paziente: «È necessario e indispensabile coinvolgere i genitori nel percorso, tanto che noi non seguiamo gli adolescenti da soli. In particolare, i familiari devono essere guidati nel trovare strategie efficaci per consentire alla figlia di riprendere un’alimentazione corretta: è il cosiddetto trattamento basato sulla famiglia». Altrettanto cruciale, soprattutto nel caso in cui i genitori non vedano, o fingano di non vedere il problema del figlio o della figlia, è il ruolo della scuola: «Per questo organizziamo incontri soprattutto con i docenti, spiegando loro quali siano gli indicatori del disturbo e quando sia opportuno mettere in allerta i familiari, o segnalare il caso attraverso lo sportello di ascolto e i servizi». In conclusione, sono tanti e diversi i tasselli dell’intervento su questa che è sempre più un’emergenza socio-sanitaria. «Il ricovero non è certo un punto di partenza in questo percorso, ma un punto di arrivo», precisa Cotugno: una maglia importante di quella rete che i servizi, le famiglie, la scuola, il territorio sono chiamati a costruire per sostenere la vulnerabilità di queste ragazze e di questi ragazzi e accompagnarli verso il superamento del problema e la ricomposizione della propria identità. (Chiara Ludovisi)

20 maggio 2022