Ong e salvataggi in mare. Le associazioni: «Polemica sterile. Fare chiarezza»
Msf, Caritas, Migrantes e Centro Astalli reagiscono agli attacchi al lavoro in mare da parte di alcuni politici. «Salgano sulle navi e verifichino»
Msf, Caritas, Migrantes e Centro Astalli reagiscono agli attacchi al lavoro in mare da parte di alcuni esponenti della politica. «Salgano sulle navi e verifichino»
È una reazione «indignata», quella di Medici senza frontiere, ai «cinici attacchi» al lavoro delle ong in mare da parte di alcuni esponenti della politica, che hanno visto nei giorni scorsi un crescendo di veleni e false accuse. «Politiche e istituzioni – rilanciano – hanno creato la crisi e fallito nel risolverla. Con vie legali e sicure non ci sarebbe nessun bisogno di salvare vite in mare». E in attesa di esporre il proprio punto di vista alle istituzioni il 2 maggio, in audizione alla Commissione Difesa del Senato, dall’associazione valutano in quali sedi intervenire a tutela della propria azione, immagine e credibilità. «Le accuse contro le ong in mare sono vergognose – commenta il presidente di Msf Italia Loris De Filippi -, ed è ancora più vergognoso che siano esponenti della politica a portarle avanti, attraverso dichiarazioni false che alimentano l’odio e discreditano ong che hanno come unico obiettivo quello di salvare vite. È una polemica strumentale – prosegue – che nasconde le vere responsabilità di istituzioni e politiche, che hanno creato questa crisi umanitaria lasciando il mare come unica alternativa e hanno fallito nell’affrontarla e nel fermare il massacro». Se ci fossero «canali legali e sicuri per raggiungere l’Europa, le persone in fuga non prenderebbero il mare e si ridurrebbe drasticamente il business dei trafficanti. Se ci fosse un sistema europeo di aiuti e soccorsi in mare non ci sarebbe bisogno delle ong».
Entrando nel merito delle false accuse sul lavoro in mare, da Msf ricordano che i soccorsi avvengono «secondo il diritto del mare e dei rifugiati sotto il coordinamento e le indicazioni della Guardia Costiera italiana; che non riceviamo telefonate dirette dai trafficanti; che le ong lavorano in acque internazionali e solo in pochi casi eccezionali, in presenza di naufragi imminenti e sotto autorizzazione delle autorità competenti, sono entrate in acque libiche». Ancora, sottolineano che «il lavoro di Msf in mare è sostenuto esclusivamente da fondi privati; non ci sono prove che i soccorsi siano un fattore di attrazione; persone disperate, torturate, afflitte da guerre, persecuzioni e povertà continueranno a partire». Da ultimo, mettono l’accento sul fatto che «fino a quando non verranno garantiti canali legali e sicuri per trovare sicurezza in Europa e un sistema europeo di aiuti e soccorsi in mare, quelle stesse persone continueranno a rischiare e perdere la propria vita nel Mediterraneo». Per maggiore chiarezza poi sul sito di Msf sono disponibili le 10 domande e risposte più frequenti sui soccorsi in mare.
Un invito a «fare chiarezza se ci sono dei dubbi», evitando «polemiche strumentali», arriva anche da monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes. Ma anche lui sottolinea che «finché non si creeranno canali legali di ingresso» l’opinione pubblica farà «l’equazione più grave», cioè che «viaggi e tratta delle persone stanno finanziando il terrorismo e la morte in Europa». Perego auspica che le indagini avviate dalla procura di Catania sul lavoro delle ong che salvano i migranti in mare con le navi «non diventino strumentali e non distraggano l’attenzione dal problema vero, che è salvaguardare le vite di tanti richiedenti asilo e rifugiati». A proposito delle polemiche politiche il direttore di Migrantes dice che «l’ipocrisia e la vergogna, come ha detto Papa Francesco recentemente, è di chi strumentalizza tutto ciò per non salvaguardare un diritto fondamentale in democrazia e soprattutto le vite umane, perché stanno morendo sempre più donne, uomini e bambini durante il viaggio e non solo nel Mediterraneo». Non è altro, insomma, che «una polemica strumentale per portare lontano dall’impegno vero che dovrebbe essere di tutti i Paesi europei e i cittadini, di fronte a un dramma che sta crescendo e chiede più accoglienza, più Europa aperta, più capacità di fare un salto di qualità: organizzare canali umanitari e ricollocamento dei migranti nel contesto europeo, per dare un segnale di responsabilità».
Improntato alla concretezza anche l’intervento di Oliviero Forti, responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana, raccolto dall’Agenzia Sir, che a quanti mettono in dubbio l’operato delle ong che con le navi salvano migranti direttamente in mare propone: «Perché non vi imbarcate su quelle navi e verificate direttamente il loro operato? Altrimenti si fa solo una polemica sterile e senza prove». Polemica, evidenzia, «fatta da chi non prospetta alcuna soluzione per salvare vite in mare. Ad oggi non è stata proposta alcuna alternativa credibile per evitare che questa gente muoia in mare, perché sappiamo che comunque continueranno a imbarcarsi». A proposito delle indagini poi osserva che «se c’è un valore giudiziario se ne tireranno le conseguenze ma ad oggi nessuno sa niente. Ci sono solo dichiarazioni presunte e dubbi, non ci sono prove. In questo modo si rischia di rovinare l’operato di tanta gente che sta lavorando in mare». Quindi, parlando a nome di Caritas italiana, conclude: «Noi continueremo a sostenere che per noi è prioritario salvare vite in mare. Se ci saranno responsabilità andranno accertate ma ad oggi non abbiamo avuto alcun riscontro. Quindi la cosa migliore è che salgano su queste navi, dopo di che se ne discuterà».
Anche per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, «il solo soccorso in mare non può essere la soluzione» e «non sarebbe così necessario» se «l’Europa stabilisse vie legali d’accesso, decidendo di gestire in maniera progettuale l’arrivo dei migranti e soprattutto non lasciando morire le persone in mare come di fatto sta facendo ormai da anni». Il gesuita cita i dati relativi ai primi mesi dell’anno, con un aumento del numero di migranti che tentano la traversata del Mediterraneo rispetto allo stesso periodo del 2016. «Fino a questo momento – commenta – gli accordi stipulati con le autorità libiche, con la finalità di contenere le migrazioni e contrastare il traffico, non si sono rivelati efficaci». Si tratta, quindi, di «un sostanziale nulla di fatto: le persone continuano a morire in mare, le traversate divengono sempre più pericolose e l’Europa continua a non affrontare in modo serio il fenomeno che non cesserà finché non si giungerà a un’alternativa seria ai viaggi della morte». Proprio per questo, è quanto mai urgente «che i governi nazionali e sovranazionali attivino canali umanitari sicuri per chi fugge da guerre e persecuzioni», istituendo programmi di reinsediamento e ricollocazione «con numeri adeguati fin da subito». Padre Ripamonti ricorda anche l’impegno in prima linea dell’Italia, prima con l’operazione Mare Nostrum voluta dal governo italiano nel 2013, poi, oggi, con il soccorso da parte di navi di ong storicamente al fianco dei migranti e delle vittime dei conflitti. «Azione fondamentale che ci fa onore, ma che non sarebbe così necessaria se l’Europa stabilisse vie legali d’accesso, non lasciando morire le persone in mare. Lasciarli morire nei Paesi di origine, in Libia o in mare – rileva – non fa alcuna differenza. L’Europa ha la responsabilità di evitare che muoiano innocenti e deve farlo prevenendo il traffico di esseri umani, attivando vie legali d’accesso al continente e lavorando per la promozione di tavoli diplomatici che pongano fine alle principali crisi umanitarie in atto».
26 aprile 2017