Siria, crisi rifugiati. A Roma la preghiera con il cardinale Vallini

Le organizzazioni umanitarie chiedono un “nuovo corso” sostenibile. Il 18 novembre vespri per la pace nella basilica dei Santi Quattro Coronati

Le organizzazioni umanitarie chiedono un “nuovo corso” sostenibile. Il 18 novembre vespri per la pace nella basilica dei Santi Quattro Coronati

«Non vogliamo smettere di commuoverci di fronte alla sofferenza della Siria e dell’Iraq, che tra l’altro coinvolgono tanti nostri fratelli nella fede». È con queste parole che l’arcivescovo eletto di Bologna Matteo Zuppi, nei suoi ultimi giorni a Roma come incaricato del Centro diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese, invita a partecipare alla preghiera dei Vespri per la pace nei due Paesi, in programma per mercoledì 18 novembre alle 18 nella basilica dei Santi Quattro Coronati, presieduta dal cardinale Agostino Vallini. Nel cuore di Roma. «Non possiamo fare molto, ma certamente non vogliamo rassegnarci e restare indifferenti», continua il presule, rinnovando l’invito di Francesco all’attenzione e alla commozione «verso una sofferenza così grande e inaccettabile». Proprio per questo l’incontro di preghiera, promosso dal Centro missionario insieme all’Ufficio diocesano Migrantes, ospiterà anche diverse testimonianze dalla Siria. Prevista la partecipazione delle comunità orientali presenti a Roma.

Continua intanto il lavoro delle organizzazioni umanitarie internazionali che proprio oggi, lunedì 9 novembre, hanno diffuso una nota congiunta sul futuro dei rifugiati siriani, impegnando la comunità internazionale a un accordo «ben più ambizioso» su quella che viene definita la più grande crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale. In mancanza di una previsione della fine del conflitto e senza alcuna prospettiva per i rifugiati di far ritorno a casa, il nuovo accordo deve prevedere maggiori investimenti nei Paesi vicini alla Siria, che ospitano oltre 4 milioni di rifugiati, e mettere fine alle restrizioni che impediscono loro di lavorare e, in alcuni casi, di vivere legalmente. Allo stesso tempo deve proteggere e rafforzare il loro diritto a chiedere asilo.

Il segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati Jan Egeland parla di «precaria legalità» e condizioni di vita «drammaticamente deteriorate» che costringono i rifugitati ad «adottare misure estreme per poter sopravvivere, incluso il ritorno nelle zone di guerra da cui sono fuggiti» o a «rischiare le proprie vite per raggiungere l’Europa. Abbiamo bisogno che i Paesi ospitanti – conclude – diano ai rifugiati l’opportunità di vivere vite dignitose e di poter dare il loro contributo alle comunità che li accolgono».

Un approccio nuovo e di lungo termine: questo è quanto richiedono le organizzazioni umanitarie, convinte che «con il giusto aiuto da parte dei donatori internazionali, i Paesi confinanti con la Siria potrebbero realizzare politiche che consentano ai rifugiati di sostenersi economicamente senza rischiare di essere arrestati e di contribuire all’economia delle comunità che li ospitano». Al momento invece, totalmente dipendenti da aiuti umanitari sempre più scarsi, vengono risucchiati in una spirtale di povertà e di debiti. E il rischio è quello di «perdere un’intera generazione di giovani siriani, la stessa  che poi dovrebbe ricostruire il Paese quando il conflitto finalmente terminerà», dichiara Misty Buswell, Regional Advocacy Director di Save the Children. «Con adulti incapaci di guadagnarsi da vivere – prosegue -, sempre più bambini saranno costretti a lavorare. Centinaia di migliaia di minori stanno perdendo anni di istruzione perché i sistemi scolastici dei Paesi confinanti sono al collasso».

Denuncia una vita vissuta «alla giornata» da oltre 4 anni anche Winnie Byanyima, direttore esecutivo di Oxfam. «Persone che contano sugli aiuti umanitari – riferisce – senza sapere se e da dove arriverà il prossimo pasto». Tra loro, «falegnami esperti, agricoltori e insegnanti che lottano per mantenere un tetto sopra la testa e cercano di mettere insieme i soldi per pagare l’affitto. Dovrebbero poter usare le proprie competenze per sostenere le proprie famiglie e per dare il loro contributo ai Paesi che li ospitano. Dei nuovi posti di lavoro potrebbero beneficiare anche i milioni di giordani, libanesi, turchi e iracheni che si trovano ad affrontare questa crisi».

La comunità internazionale si deve rendere conto che, «piuttosto che un fardello, come spesso i rifugiati vengono descritti, la realtà è ben diversa: i rifugiati che sono messi nelle condizioni di lavorare legalmente, possono contribuire positivamente alle economie dei Paesi ospitanti con le loro diverse abilità ed esperienze», è il parere di Peter Klanso, direttore del Consiglio danese per i Rifugiati per il Medio Oriente e il Nord Africa. I Paesi ricchi dovrebbero fornire un’opzione di reinsediamento in sicurezza per almeno il 10% dei rifugiati che ne hanno maggiormente bisogno e invece si sono impegnati finora ad accettarne meno del 3% e i tempi di attesa sono troppo lunghi.

Più di un milione i rifugiati presenti in Libano, di cui quasi 500mila bambini in età scolare; coloro che desiderano ottenere la residenza devono firmare l’impegno a non lavorare e a non sollecitare l’aiuto di un cittadino libanese. Oltre 630mila i rifugiati siriani in Giordania: più dell’83% vive fuori dei campi, nelle città. in Turchia, dove ci sono circa 2 milioni di rifugiati siriani, alcune città hanno visto le loro popolazioni raddoppiare, ma sono circa 600mila quelli che restano non registrati e non possono usare ufficialmente la maggior parte dei servizi pubblici. Ancora, nella regione curda dell’Iraq, i rifugiati nei campi possono ottenere permessi di soggiorno che consentano loro di lavorare e accedere ai servizi; servizi che invece sono difficili da ottenere per i rifugiati al di fuori campi. In Egitto infien ci sono quasi 130mila profughi siriani registrati anche se il governo ne stima il doppio. Solo una piccola parte è stata in grado di ottenere permessi di lavoro a causa delle quote che limitano l’ingresso di non-egiziani nel mondo del lavoro.

9 novembre 2015