Vallini a Villa Speranza, luogo di «forza e testimonianza»

Il cardinale vicario, sabato 21, ha visitato la clinica per malati terminali. L’assistente spirituale don Abbate: «Ogni vita per noi è sacra»

Il cardinale vicario, sabato 21, ha visitato la clinica per malati terminali. L’assistente spirituale don Abbate: «Ogni vita per noi è sacra»

«Oggi avrei potuto essere con il Papa a Napoli, ma per me era più urgente venire qui da voi». Così, parlando con un’ospite e con i suoi familiari, il cardinale Agostino Vallini ha definito la sua visita di sabato 21 marzo all’hospice “Villa Speranza”: “urgente”. Un termine particolarmente adatto al luogo, ma non nel senso che si potrebbe pensare per una clinica per malati terminali: qui succede spesso che la vita incalzi la morte, non viceversa.

Come ha testimoniato la figlia di Elena, accolta nella struttura qualche anno fa: «I 25 giorni in cui mia madre visse a “Villa Speranza” ci hanno cambiato per sempre: in così poco tempo lei ritrovò la fede e io scoprii la mia, capendo cosa fosse importante nella vita proprio mentre trascorrevamo insieme quegli ultimi giorni. Io ho davvero aperto gli occhi mentre lei chiudeva i suoi: mai prima di allora avevamo vissuto ore così preziose».

Accompagnato dal vescovo incaricato per la Pastorale sanitaria Lorenzo Leuzzi e guidato da don Carlo Abbate, assistente spirituale di “Villa Speranza”, e dal primario, la dottoressa Adriana Turriziani, il cardinale vicario ha visitato i tre piani dell’hospice di via della Pineta Sacchetti fermandosi a pregare quasi in ogni camera, parlando delle comuni origini toscane con il signor Cesare, ascoltando la signora Bruna raccontargli della propria infanzia, recitando un’Ave Maria in latino con una signora in corsia.

«Qui dentro c’è la vita, l’amore, la forza, la testimonianza – dice don Carlo, da otto anni accanto a pazienti e familiari – e quello che, come équipe, cerchiamo di fare ogni giorno è prenderci cura di chi arriva in ogni modo possibile. Il termine “palliativo” – ricorda – viene da “pallio”, mantello, nel senso di “coprire” ma anche in quello di “avvolgere”: la vita di ogni persona, anche quando questa non può più essere curata nel corpo, resta sacra e degna di tutti i nostri sforzi per alleviarne le sofferenze, sia dal punto di vista fisico che da quello psichico e spirituale».

«Per noi – spiega il direttore sanitario, Francesco La Commare – è fondamentale preservare la dignità delle persone, togliendo loro il dolore ma non la coscienza: i circa 120 professionisti che prestano servizio a “Villa Speranza”, medici, infermieri, fisioterapisti, cercano di concorrere a questo prestando loro tutto il supporto possibile, sia qui che con le unità domiciliari, e, laddove non ci siano più medicine da dare, offrendo la propria umanità». Un’umanità donata che, nel tempo urgente di chi non ne ha più, spesso ritorna moltiplicata. «Qui – dice don Carlo – si vive l’essenza delle cose: a volte ho celebrato nozze o battesimi, altre volte ho “semplicemente” confessato, ma sempre, con ogni persona incontrata, ho fatto esperienza della nudità della nostra umanità: se ne avesse una, l’icona di “Villa Speranza” sarebbe quella dell’Ecce Homo, del Cristo coperto di piaghe e ferite, già e non ancora immagine della Resurrezione».

«Quand’ero rettore del seminario di Napoli – ha raccontato Vallini al personale – una notte venne a chiamarmi una suora. La mandavano da una clinica lì vicino. Mi precipitai e trovai una giovane sposa in lacrime. Il marito, anche lui giovane, era gravissimo. Mi commossi molto e pregai a lungo con lei. Sulla strada del ritorno capii d’improvviso che la vita è come un merletto rovesciato: un pasticcio di fili di cui quella notte avevo intravisto un lembo del dritto. Una Grazia che auguro piena a voi, che qui accompagnate ore ultime e speciali».

23 marzo 2015