La Casa del Cinema ha ospitato la comemmorazione del regista e sceneggiatore, maestro del cinema italiano, scomparso nella Capitale il 10 gennaio. Giuseppe Tornatore: «Cittadino combattente, con l’arma della passione civile»
«Con Francesco Rosi perdiamo un maestro, un uomo colto, lucido e di grande impegno civile. Il suo cinema ha rappresentato uno dei momenti alti della cultura italiana, conosciuta e amata in tutto il mondo. La sua scomparsa ci colpisce e addolora. Roma, sua città insieme all’amata Napoli, lo piange e gli rende omaggio ospitando la camera ardente e i funerali nella Casa del Cinema, uno dei luoghi di cultura che aveva sempre amato e che la sua famiglia ha scelto». Con queste parole il sindaco di Roma Capitale Ignazio Marino e l’assessore capitolino alla Cultura Giovanna Marinelli hanno ricordato il regista e sceneggiatore scomparso sabato 10 gennaio, di cui si è svolta ieri, lunedì 12, la commemorazione. «Ci mancherà il suo sguardo lucido, quel suo modo schietto di raccontare la realtà, le sue idee fulminanti, il suo sorriso come la sua indignazione davanti alle ingiustizie – hanno aggiunto -. Roma perde un suo cittadino, un grande intellettuale, un amico».
Nella sala Deluxe della Casa del Cinema, dove si è svolta la commemorazione dell’artista nato a Napoli nel 1922, c’era anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in prima fila accanto a Carolina, la figlia di Rosi. Con lui numerosi protagonisti della politica, oltre che della cultura e del cinema italiano, colleghi e “allievi”. Su tutti, Raffaele La Capria, amico di Rosi fai tempi della scuola, così come Napolitano; e ancora, Paolo Sorrentino, Ettore Scola, Giuseppe Tornatore, Furio Colombo, Marco Tullio Giordana, Franco Zeffirelli, Lina Wertmuller, Liliana Cavani, Michele Placido, Francesco Maselli, Giuliano Montaldo, Luca De Filippo e Roberto Andò.
Dopo gli studi di giurisprudenza e i primi lavori come illustratore di libri per bambini, Rosi aveva iniziato la sua carriere nel cinema come aiuto di Luchino Visconti per “La terra trema” (1948) e “Senso” (1953). Nel 1952 l’esordio nel lungometraggio con “La sfida”, cronaca della lotta tra cosche camorrista a Napoli. Seguiranno il capolavoro “Salvatore Giuliano” (1962), dedicato al bandito siciliano, “Mani sulla città” (1963), Leone d’oro alla Mostra di Venezia, film – denuncia delle collusioni tra organi dello Stato e speculazione edilizia a Napoli, fino ai titoli che hanno visto l’impegno divenire sempre più la cifra distintiva del suo cinema. Come “Il Caso Mattei”, con Gian Maria Volontè a interpretare il dirigente Eni scomparso nel 1962 in circostanza mai del tutto chiarite, o “Cadaveri eccellenti”, “Lucky Luciano”, “Cristo si è fermato a Eboli”, “Cronaca di una morte annunciata”, “Dimenticare Palermo” o “La tregua”, con John Turturro nel ruolo di Primo Levi.
«Un genio», lo ha definito senza trattenere le lacrime Raffaele La Capria aprendo la commemorazione. «Dopo De Sica e Rossellini – ha continuato – ha inventato un nuovo tipo di cinema, è stato un indagatore spietato della società italiana e ha raccontato con i suoi film una democrazia ammalata, molto simile a quella di oggi. Ma lui oltre ad essere un grande autore di cinema sociale era anche un poeta». Parole d’affetto anche da parte di Ettore Scola, che del collega scomparso ha ricordato anzitutto la «fortissima personalità. Metteva la stessa puntigliosa serietà che aveva nei suoi film anche in ogni momento della sua vita – ha aggiunto – . Ma con lui ci si divertiva moltissimo, era pieno di ironia». L’auspicio è che, come lui, «altri autori italiani, e alcuni sono anche in questa sala, raccontino l’Italia per aiutarla a uscire da questa fase così confusa».
Dedicato alla “napoletanità” di Rosi l’intervento del fratello Massimo. «Era un discendente diretto di Giambattista Vico e Benedetto Croce – ha detto -, due simulacri della ragione ma calati nei fatti e nella realtà. E di questi napoletani ce ne sono tanti, che combattono contro la mancanza di serietà e di impegno civile». Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento di Furio Colombo, che con Rosi ha lavorato al “Caso Mattei”: «Franco ci ha riscattato dall’umiliazione di pensarci perenni vittime della corruzione e del crimine. Nei suoi film c’è il coraggio di chi si oppone a far sì che il malaffare ci governi, ma anche il coraggio del regista che si è esposto personalmente nel raccontare quelle storie mentre accadevano».
«Un cittadino combattente con l’arma della passione civile e del cinema» per Giuseppe Tornatore; «un poeta e un civilizzatore» per Andò Rosi; un padre per Carolina, che al padre ha letto, tra le lacrime, il suo messaggio: «Sono così fiera di essere tua figlia, di essere almeno un po’ una piccola parte di te. Io che per tutta la vita ti ho chiamato Franco, ora mi sento di chiamarti solo papà».
13 gennaio 2015