Acs ricorda padre Maccalli, rapito in Niger
La fondazione pontificia pone il volto del religioso, appartenente alla Società delle Missioni africane, al posto del logo: «Non lasceremo che il mondo si dimentichi di lui». Dal Paese africano, nessuna novità
«Non lasceremo che il mondo si dimentichi di padre Maccalli». La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre tiene viva l’attenzione sulla vicenda del religioso appartenente alla Società delle Missioni africane rapito in Niger nella notte tra il 17 e il 18 settembre: nei profili social di Acs (Facebook, Twitter e Instagam) la sua foto prende da oggi il posto del logo della fondazione. L’obiettivo: «Impedire che si crei l’ennesimo muro di silenzio e indifferenza», spiega il direttore di Acs Italia Alessandro Monteduro, evidenziando come dopo i primi giorni di attenzione la vicenda sia «scomparsa» dai media. «Se qualcuno vorrà unirsi a noi, ne saremo felici», aggiunge.
Sul rapimento in #Niger di Padre Pierluigi #Maccalli non deve calare il silenzio! Da oggi ACS sostituisce la foto profilo con il suo volto. Sarebbe meraviglioso se ogni cattolico (singolo o gruppo) facesse lo stesso. Restituiteci Padre Gigi! pic.twitter.com/ZecwhhfFBI
— ACS-Italia (@acs_italia) 25 settembre 2018
Dal Niger intanto nessuna novità sulla sorte di padre Pierluigi Maccalli. «Questi gruppi – spiega ad Acs il suo confratello padre Mauro Armanino – in genere non rivendicano i sequestri. Noi continuiamo a sperare e a pregare, pur sapendo che vi sono altri ostaggi di cui da tempo ormai non si hanno notizie». Lo scorso aprile infatti un operatore umanitario tedesco è stato rapito al confine nigerino con il Mali, nell’area in cui nell’ottobre 2016 era stato sequestrato un cooperante statunitense. La sorte di entrambi è tuttora sconosciuta.
Padre Armanino descrive un Paese in cui la situazione è nettamente peggiorata negli ultimi anni: «Il Niger è praticamente accerchiato da gruppi jihadisti». A nord, la Libia, «una polveriera di gruppi armati e tribù che lottano per l’egemonia», con una forte presenza dello Stato Islamico. A sud la Nigeria da cui, specie dalla regione del Lago Ciad, giungono gli uomini di Boko Haram. A est il Mali, dove dopo il colpo di stato del 2012 c’è una forte presenza di Al Qaeda nel Maghreb islamico. In più, «da diversi mesi, se non di più, anche la zona vicina al Burkina Faso, dove è stato rapito padre Pierluigi, è divenuta pericolosa», aggiunge il religioso, a motivo della crescente presenza dei pastori islamisti di etnia fulani, plausibilmente autori del sequestro del sacerdote.
Le cose non migliorano all’interno dei confini del Paese, dove negli ultimi anni l’Islam, praticato dal 95,7% della popolazione, si è andato sempre più radicalizzando. «Le confraternite sufi tipiche di un Islam piuttosto tollerante stanno cedendo il posto al salafismo giunto dalla Nigeria, ma anche attraverso investimenti di Paesi quali Qatar e Arabia Saudita, che finanziano moschee e scuole coraniche». Di questa crescente intolleranza sono un segno, evidenzia il religioso, le violenze anticristiane scatenatisi in
Niger nel gennaio 2015, quando in seguito alla strage nella redazione della rivista satirica Charlie Hebdo, musulmani hanno bruciato o distrutto almeno 45 chiese. «Da allora vi è stato da parte della comunità islamica il tentativo di affermare la propria identità a scapito del dialogo. La fiducia dei cristiani nei loro vicini musulmani si è incrinata e il rapimento di Pierluigi, un uomo che ha fatto del bene a entrambe le comunità religiose, non è che un’ennesima ferita».
26 settembre 2018