Al Centro Matteo Ricci, storie di fuga e accoglienza
Alcune delle testimonianze presentate durante l’inaugurazione della struttura, davanti al presidente Mattarella. Sohrab, 25 anni, arriva dall’Afghanistan. Charity, anche lei 25 anni, dal Camerun
Tante storie diverse si incroceranno nel centro di accoglienza “Matteo Ricci” aperto dal Centro Astalli. Tutte però avranno come sfondo la fuga, la paura, lo scarto. Vicende come quelle raccontate da due giovani rifugiati in occasione dell’inaugurazione del Centro avviato per offrire percorsi di inclusione tra migranti e comunità locale nel complesso monumentale della Chiesa del Gesù, in spazi attigui al collegio internazionale del Gesù, dove è vissuto Sant’Ignazio, e alla chiesa del Gesù, dove è sepolto padre Pedro Arrupe, fondatore del Servizio dei gesuiti per i rifugiati.
Sohrab ha 25 anni ed è originario dell’Afghanistan. Quando aveva 14 anni a causa della guerra che imperversava nel Paese è stato costretto a fuggire da solo. Ha raccontato del viaggio con i trafficanti su un gommone partito dalla Turchia e dell’arrivo in Grecia, prima tappa del suo lungo viaggio, dove fu arrestato. Quindi i tanti falliti tentativi di fuga dentro o sotto un camion o aggrappato sulla cabina del guidatore. A piedi ha attraversato Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, Germania, prima di giungere in Italia, dove è stato accolto in un centro per rifugiati. Ha imparato l’italiano, ha conseguito la licenzia media, il diploma e grazie a una borsa di studio ha frequentato l’università alla Sapienza, dove il mese scorso si è laureato in ingegneria meccanica. Ora è iscritto al corso di laurea specialistica. «Questo Paese mi ha dato un’opportunità – ha detto – Dopo tanti rifiuti per la prima volta mi sono sentito accolto».
Anche Charity ha 25 anni e fino a due anni fa viveva in Camerun. Laureata in Economia e finanza, lavorava come contabile per una ong impegnata nella difesa dei diritti delle donne e dei bambini vulnerabili. Poco più di due anni fa la sua vita è cambiata a causa dell’impegno politico del padre e del fratello. «Mi piaceva la mia vita in Camerun – ha detto -, facevo il lavoro che avevo sognato, avevo gli amici, la mia famiglia, una vita normale, ma la passione politica di mio padre e di mio fratello ha cambiato la mia vita». Al termine di una manifestazione pubblica organizzata per chiedere il diritto allo studio per tutta la popolazione in tutto il Paese i suoi familiari sono stati arrestati. Del padre non ha più avuto notizie. Quando è andata a cercare il fratello è stata arrestata anche lei ma dopo pochi giorni è riuscita a fuggire. Grazie a un amico di famiglia è riuscita a lasciare il suo Paese e a raggiungere Roma. Oggi studia per sostenere gli esami necessari per il riconoscimento della laurea in Italia. «Non voglio abbandonare il sogno di fare il lavoro per cui ho studiato – ha affermato -, è l’unico modo che ho per ringraziare i mie genitori di avermi insegnato che lo studio e la cultura possono cambiare il mondo e che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini».
Le storie dei due giovani raccontano «la concretezza della sofferenza, dei conflitti e del difficile approdo in Europa», ha affermato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenuto all’inaugurazione del Centro. «Concretezza – ha concluso – che spiega il desiderio di questo centro di praticare accoglienza e integrazione».
4 febbraio 2019