Beschi: «Dio ci prende per mano, ci prende nelle sue mani, anche oltre la morte»
Il vescovo di Bergamo racconta la pandemia vista «dal cuore del dolore»: la «generosità enorme» di medici e infermieri e la vicinanza della Chiesa
L’emergenza coronavirus come noto ha colpito in maniera violenta il Nord Italia e in particolare la provincia di Bergamo. Nei giorni scorsi anche Papa Francesco ha voluto far sentire la sua vicinanza alla terra che ha dato i natali a san Giovanni XXIII telefonando al vescovo Francesco Beschi, che pur in mezzo alle mille incombenze legate all’epidemia ha accettato di rispondere ad alcune domande di Romasette.
Eccellenza, a Bergamo non si canta sui balconi, non ci sono flash mob. Le persone come stanno affrontando questa epidemia?
Qui le morti veramente si moltiplicano e per adesso non solo non diminuiscono ma crescono. Negli ospedali muoiono coloro che sono più gravi, ma molti muoiono nelle loro case e non rientrano nei conteggi ufficiali. Vengono allora utilizzate anche alcune chiese: è un gesto di tenerezza verso persone che muoiono da sole e anche le loro salme rischiano di rimanere accatastate. Che siano in una chiesa è un dono di rispetto e di premura. Tutto questo è accompagnato da sentimenti molto profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà, lui è in quarantena, la mamma è in quarantena da sola in un’altra casa. I suoi fratelli sono in quarantena, non si fa alcun funerale, verrà portato al cimitero e verrà sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante perché viene a mancare. Inoltre, quando il malato viene portato via da casa con l’ambulanza e ricoverato tra gli infettivi o in terapia intensiva i familiari non lo vedono più, non lo sentono più, non possono parlargli neanche telefonicamente. Il dolore è immenso. Mi sembra che in questo momento cresca una condivisione non superficiale. Posso dire che in questo momento molte persone avvertono e intuiscono quello che avevamo dimenticato: noi ci siamo condannati in questi anni a una specie di autoisolamento, ognuno pensava per sé. In questo momento che viviamo l’isolamento imposto, ci rendiamo conto di quanto sia necessaria la condivisione. Io spero che questo rimanga. Oggi siamo nelle nostre case e vedo tessere dei legami di vicinanza veramente significativi.
La Penitenzieria Apostolica ha ricordato che di fronte a questa situazione grave, quasi bellica, c’è la possibilità di concedere l’assoluzione collettiva. È una opzione già utilizzata? Come fate a stare accanto ai malati e ai moribondi?
Come Chiesa ci siamo rifatti a quello che la tradizione, la dottrina cristiana ci dice, e che con parole più precise viene chiamato “votum sacramenti” ed è “il desiderio”: io desidero il perdono del Signore ma non sono nella condizione di poterlo ricevere, in questo momento, nemmeno i fedeli che stanno bene, perché non possiamo più frequentarci, quindi, io mi metto davanti a Dio con un vero pentimento, con un atto di fiducia e di amore verso di Lui, confesso a Lui il mio peccato e chiedo il perdono con le preghiere che ci sono più familiari e più conosciute. La Chiesa dice che avendo il proposito, poi, di confessarsi sacramentalmente appena possibile, io ricevo il perdono di Dio. Ho poi ricordato e indicato a tutta la diocesi il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari. E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore.
Domani, venerdì 27 marzo, Lei si recherà nel cimitero, come chiesto dalla Cei. Cosa chiederà a Dio?
Dal cuore del dolore, con il dolore nel cuore, vogliamo dare voce e rendere una voce sola il pianto di tante famiglie che affidano alle mani di Dio i loro cari a cui non hanno potuto celebrare il funerale ma sanno che in lui non sono dimenticati. Vogliamo invocare il suffragio per le anime dei defunti, perché il Signore li accolga nell’abbraccio della sua misericordia. Vogliamo condividere e fare nostro lo struggimento di chi non ha potuto vivere la forza della pietà umana dell’ultimo saluto, chiedendo che la preghiera si faccia partecipazione densa di affetto, di vicinanza, di cordoglio. Vogliamo celebrare la morte e risurrezione di Gesù Cristo, che ha tolto alla morte il diritto di avere l’ultima parola, donandoci l’alba di una vita nuova al di là di ogni notte, anche quella più buia e più fredda. Vogliamo sentirci uniti nella distanza tra noi, vogliamo sentirci uniti nella distanza con i nostri defunti, vogliamo sentirci uniti nella distanza dalla speranza. Dio ci prende per mano e ci tiene nelle sue mani. Qui si riposa in pace.
Come confortare chi in questi momenti cede o è tentato di cedere alla disperazione, di prendersela con Dio?
Spesso, nei secoli passati e nella tradizione spirituale e biblica, devastazioni così vaste, capaci di coinvolgere un numero incalcolabile di persone sono state interpretate come un castigo di Dio. Ancora oggi, non sono poche le persone che evocano come causa dei mali più gravi la decisione di Dio di punirci per il male che abbiamo compiuto. Non voglio giustificare Dio, né difendere Dio da attributi che ritengo inaccettabili. Si tratta piuttosto di scoprire come Dio ci abbia mostrato il suo volto in maniera definitiva: il nostro Dio ha rivelato se stesso nelle parole, nella vicenda, nella persona, nella morte e risurrezione di Gesù. Gesù è il volto di Dio in cui noi crediamo: è il volto di un’infinita misericordia che non nasconde il male, tanto meno lo giustifica o tollera, ma lo assume tutto su di sé per poterci riscattare. Dio ci prende per mano, Dio ci prende nelle sue mani, anche oltre la morte.
Tutta Italia è vicina al personale sanitario impegnato in prima linea, ancor più in zone come quella di Bergamo. Il Papa chiede spesso di pregare per questi eroi. La Chiesa bergamasca come fa sentire la sua vicinanza?
Sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, di coloro che stanno lavorando nei nostri ospedali, nell’ospedale più grande che è intitolato peraltro al santo Papa Giovanni XXIII, figlio di questa terra. Come piccolo segno di attenzione nei loro riguardi, la diocesi ha messo a disposizione 50 stanze in Seminario perché medici e infermieri, lontani dalle loro famiglie sia per il ritmo estenuante dei turni, sia per la paura di contagiare i loro bambini, possano riposarsi nelle poche pause di cambio. Ho poi cercato di essere vicino a loro facendo giungere nei primi giorni un Sms a tutti di vicinanza, ammirazione e benedizione e poi una lettera. Sono poi in costante collegamento con i dirigenti degli ospedali.
Anche il clero ha pagato il suo pesante tributo di vittime. Com’è la situazione? Cosa potrà insegnare questa prova così dura?
Dal 6 marzo a oggi (26 marzo) i sacerdoti diocesani defunti sono 23. Credo che questo dolore sia anche uno dei segni di grande vicinanza, e lo dico con animo profondamente riconoscente, e anche con umiltà, dalle nostre parrocchie. La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Le parrocchie si sono mosse sui social, con celebrazioni in streaming, con proposte di video e di testi in chat. La stessa diocesi ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e su www.oratoribg.it. Abbiamo aperto “Un cuore che ascolta”: un telefono che riceve chiamate da persone che hanno bisogno di confronto, riflessione, consolazione dal punto di vista spirituale o psicologico. Ci lavorano sacerdoti, suore, anche laici. E abbiamo pensato ai poveri tra i poveri, riorganizzando strutture dove senzatetto e migranti possono vivere in modo sicuro. Tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza che Dio non ci abbandona. Questa vicinanza va in direzione della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.
26 marzo 2020