Il diacono, «uomo dello stupore e dell’umiltà»
La Messa di De Donatis con l’ordinazione di 14 diaconi, prossimi al presbiterio, di cui 7 per la diocesi di Roma. «Abbiamo bisogno di evangelizzatori che gridano il Vangelo con la vita»
Il diacono è l’uomo conquistato dall’amore di Dio, “abitato da Dio”. È l’uomo dello stupore e dell’umiltà. Più che impartire benedizioni, è chiamato a essere benedizione, «in particolare con la carità concreta». Solo così potrà aiutare i fedeli «a fare memoria delle opere di Dio, a mettere le persone prima delle regole, a leggere la vita con gli occhi della misericordia». Lo ha detto ieri sera, 22 maggio, il cardinale Angelo De Donatis che nella basilica di San Giovanni in Laterano ha presieduto la Messa e ordinato 14 diaconi transeunti, seminaristi prossimi all’ordinazione presbiterale. Di questi, nove si stanno formando nel Pontificio Seminario Romano Maggiore e nello specifico sette per la diocesi di Roma: Francesco Barberio, Roberto Buattini, Simone Catana, Ciro Dell’Ova, Mario Losito, Antonio Panico, Vincenzo Perrone; Matteo De Marco e Alessandro Romano si stanno preparando per la diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Quattro i diaconi che stanno studiando nel Collegio diocesano Redemptoris Mater: Giordano Flavio Maria Barani, Christian Cabrera, Andrea Silvestri e Tomohiro Ugawa. Il diacono Ruphin Kabondo wa Kabondo appartiene invece alla Congregazione della Società del Divin Salvatore.
Prima di indossare la stola diaconale e la dalmatica, gli ordinandi hanno scandito il loro “Eccomi” davanti alle famiglie, alle comunità parrocchiali nelle quali prestano servizio, a decine di sacerdoti – tra i quali i rettori dei seminari di provenienza -, al vescovo Paolo Ricciardi e al cardinale Enrico Feroci. Un “Eccomi”, ha osservato il cardinale De Donatis nell’omelia, «diverso da quello detto alla prima percezione della vocazione o anche nei vari passaggi dell’ammissione all’ordine e dei ministeri. È l’eccomi di chi riconosce che non si può diventare pastori se non ci facciamo prima agnelli. È l’eccomi di chi rinuncia alla propria vita in modo definitivo per donarla, per guadagnarla in modo sorprendente. È l’eccomi del servo che è chiamato amico, dell’amico che si fa servo».
Animata dal Coro della diocesi di Roma, la celebrazione ha visto il popolo di Dio in festa, non perché i diaconi hanno ricevuto «il premio del “primo arrivato”» ma per aver accettato di farsi «compagni degli ultimi». Ognuno di loro, prima di aver chiara la chiamata del Signore, studiava o lavorava, aveva altri progetti e sogni «anche lodevoli e belli. Ma il sogno di Dio era un altro – le parole del vicario del Papa -. Vi ha voluti servi dell’Amore. Voi lo avete amato, perché Lui vi ha amati per primi. Lo avete incontrato non nelle regole e nelle osservanze di una religiosità formale, ma è “scattato l’amore”, nell’ascolto della Parola e nella testimonianza di carità di tanti che vi hanno accompagnato. Il diacono è prima di tutto l’uomo conquistato dall’Amore. Per questo si fa servo della Parola. Non solo ascolta ma “osserva”, cioè “si mette a servizio” della Parola. Osservare la Parola significa leggerla, meditarla, prima che predicarla; noi non abbiamo bisogno di predicatori ma di evangelizzatori che gridano il Vangelo con la vita, credibili quanto più sarete semplici e immediati». L’annuncio del Vangelo è uno dei cardini del ministero diaconale e il consiglio di De Donatis per la preparazione dell’omelia è quello di vivere «la preghiera sulla Parola immergendosi nella vita quotidiana della gente». Tracciando il profilo del diacono, il porporato ha evidenziato che egli è anche «l’uomo dello stupore, che vede realizzare attraverso le sue mani le opere grandi di Dio». Per loro che d’ora in poi potranno anche amministrare il battesimo, il suggerimento è quello di «gustare la bellezza del generare alla fede, senza cadere mai nel rischio dell’abitudine».
Durante il rito di ordinazione, i quattrodici seminaristi hanno ripetuto per sei volte “Sì, lo voglio”, esprimendo la volontà di conformare la propria vita a Cristo, esercitando il ministero con umiltà e carità, custodendo la fede, vivendo nel celibato, scandendo i giorni con la preghiera della Liturgia delle ore. De Donatis si è soffermato sulla castità «del corpo e del cuore che non è una chiusura sterile, sarebbe triste vivere una vita così – ha detto -. Non è un’imposizione crudele. È il dimorare della Trinità in voi che vi rende casti in una fecondità inaspettata che vi farà generatori di vita, ora da diaconi e ancor più quando sarete presbiteri». Parlando dell’umiltà, invece, ha precisato che i diaconi non sono «superuomini ma uomini che con umiltà si riconoscono tali, consapevoli che Dio abita in loro, ben sapendo che a volte trova una dimora piccola, da aggiustare a più riprese, da plasmare con la sua presenza e con il suo perdono».
23 maggio 2022