Il Mosè di Michelangelo, stratega e condottiero
Dedicato all’opera commissionata da Giulio II nel 1505 il primo incontro delle Letture teologiche. Il cardinale Vallini: «Esempio di misericordia»
Dedicato all’opera commissionata da Giulio II nel 1505 il primo incontro delle Letture teologiche promosse dalla diocesi. Il cardinale Vallini: «Esempio di misericordia»
Una imponente scultura spicca nel complesso marmoreo posto nel transetto destro della basilica romana di San Pietro in Vincoli. È il Mosè di Michelangelo, primo protagonista del nuovo ciclo delle Letture teologiche, quest’anno incentrate su “La misericordia nell’arte”. In un Sala della Conciliazione del Palazzo Lateranense particolarmente affollata ieri sera, giovedì 14 gennaio, tre relatori hanno approfondito l’analisi di un assoluto capolavoro della scultura occidentale.
«Il Mosè di Michelangelo, nel nostro immaginario, è il Mosè per eccellenza», ha esordito il gesuita padre Jean Paul Hernandez, cappellano alla Sapienza di Roma, indagando la dimensione teologica dell’opera d’arte. Una scultura dalla «forza espressiva che ipnotizza ancora chi la contempla» e fotografa «la massima tensione drammatica, il momento prima dell’esplosione di ira». Il riferimento è all’episodio biblico del roveto ardente: Mosè è salito sul monte Sion per ricevere da Dio i dieci comandamenti ma il popolo, nel frattempo, si è costruito un idolo. Michelangelo «coglie l’istante in cui Mosè vede il vitello d’oro oppure è stato avvertito da Dio» della sua esistenza, spiega padre Hernandez, perché «le tavole sono intere sotto il suo braccio, ma molto instabili se il gigante dovesse alzarsi».
Marco Bussagli, dell’Accademia delle Belle Arti, si è soffermato sugli aspetti storico-artistici. Commissionato da Giulio II nel 1505, il Mosè di Michelangelo è parte di un complesso concepito come tomba del pontefice (che però è sepolto in San Pietro). L’opera vedrà la luce solo nel 1542 dopo decenni di tormentate vicende e un forte ridimensionamento del progetto originario, che Giulio II sognava di realizzare in San Pietro. Il Mosè è una delle prime sculture realizzate, alla quale l’artista, in un secondo momento, gira la testa di ben dieci centimetri. «Non è un’ipotesi ma il segno di un genio inarrivabile».
Il Mosè stratega e condottiero, infine, è stato al centro della riflessione del generale Francesco Langella, capo del Corpo del Genio Aeronautico. Il quale, prendendo spunto dalla propria esperienza, ne ha messo in luce le qualità di «messaggero e negoziatore, legislatore, normatore e mediatore». Caratteristiche che si richiedono a un buon capo. «Esercita il suo potere di guida sul popolo, si muove nell’ambito della legge ma detta le sue norme e, invocata la misericordia divina, media con il Faraone per la liberazione del suo popolo». Ci sono molti episodi in cui si trovano elementi di strategia, tattica e logistica che, secondo Langella, rendono Mosè un vero condottiero.
A concludere l’incontro, introdotto dal presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, è stato il cardinale vicario Agostino Vallini. «In questo anno del Giubileo, in cui Papa Francesco ci dice che abbiamo bisogno di misericordia, la storia di Mosè ci aiuta a capire come la sua anima sia proprio la misericordia» che «trasforma la sua vita e lo rende colui che intercede per il popolo». Il prossimo appuntamento con le Letture teologiche è fissato per giovedì 21 gennaio, dalle ore 20 alle 21.30. Monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, Alessandro Zuccari, della Università Sapienza di Roma, e Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, parleranno de “La vocazione di Matteo del Caravaggio. La chiamata”.
15 gennaio 2016