Il Papa ai consacrati: «Pazienza e perdono. Come una madre»
Nell’Aula Paolo VI l’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano, alla presenza del cardinale Vallini. «Il servizio ai fratelli sia fatto con il sorriso»
Nell’Aula Paolo VI l’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano, alla presenza del cardinale Vallini. «Il servizio ai fratelli sia fatto con il sorriso»
Che le m onache abbiano le «antenne alzate» per captare le necessità degli altri e i vescovi siano capaci di creare armonia nelle diocesi. Sono, questi, solo alcuni degli ammonimenti che Papa Francesco ha rivolto a religiosi e religiose della diocesi di Roma, incontrandoli sabato 16 maggio nell’Aula Paolo VI. «Una monaca di clausura – ha spiegato il Pontefice - non può essere una donna esclusa dal mondo, perché la vocazione non è un rifugio». Per questo, ha spiegato il Papa criticando l’uso delle segreterie telefoniche, «è necessario anche informarsi e mantenere il contatto diretto con la gente che bussa ai monasteri». E il servizio ai fratelli «deve essere fatto con il sorriso sulle labbra, perché a una suora che non sa sorridere manca qualcosa».
Con uno stile colloquiale, Francesco si è rivolto così ai tantissimi religiosi, in gran parte donne, che non hanno voluto mancare l’appuntamento in Vaticano. Promosso dall’Ufficio diocesano per la vita consacrata guidato da padre Agostino Montan, l’incontro è stato introdotto da un momento di comunione con le suore di diversi Paesi del mondo che, abbigliate con vesti tradizionali, si sono esibite in canti, balli e preghiere.
A ricordare la dimensione della vita consacrata a Roma è stato il cardinale vicario Agostino Vallini nel suo saluto iniziale: «Circa trentamila consacrati, ben 28 monasteri di clausura, un’importante presenza femminile, e un terzo delle parrocchie affidate a religiosi, aiutano la Chiesa locale nell’annuncio del Vangelo e nella promozione umana». Esprimendo poi gratitudine al Papa per l’incontro – condotto dalla presentatrice tv Lorena Bianchetti – il porporato ha sottolineato come i consacrati che vivono in fraternità aiutano, «nella logica dei cerchi concentrici», prefetture e parrocchie, con le loro scelte « coraggiose e profetiche».
Sul palco si sono quindi avvicendate le testimonianze di diversi consacrati: quelle di due religiose accolte dall’Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi), delle suore della Divina Volontà che hanno raccontato la loro esperienza in una casa famiglia, di suor Rebecca Nazzaro, religiosa delle Missionarie della Divina Rivelazione, che fa servizio di catechesi attraverso il commento delle opere d’arte di cui sono ricche le basiliche, le catacombe o anche solo le chiesette romane. Infine il racconto di vita di Giulia Civitelli che, da neo medico, ha scelto di diventare missionaria secolare Scalabriniana.
Quattro rappresentanti dei consacrati di Roma hanno infine rivolto alcune domande al pontefice: per l’Ordo virginum, Iwona Langa, della casa famiglia “Ain Karim”; suor Fulvia Sieni, agostiniana del monastero dei Santi Quattro Coronati, che ha interrogato Francesco sulla vita contemplativa dei monasteri di clausura. Padre Gaetano Saracino, missionario scalabriniano e parroco del Santissimo Redentore, che ha espresso il disagio che i religiosi spesso provano nel sentirsi «tappabuchi» nella vita diocesana. In ultimo, padre Gaetano Greco, terziario Cappuccino dell’Addolorata, cappellano dell’Istituto penale minorile “Casal del Marmo”.
Prendendo la parola, Francesco ha allora spiegato, attingendo, come lui stesso ha ricordato, alla propria esperienza, che «una delle cose più difficili per un vescovo è fare armonia nella diocesi» e che l’obbedienza «come ogni virtù può essere tentata» e diventare un mero « atteggiamento disciplinare». Il vescovo, è stato il richiamo del Papa, «non deve allora usare i religiosi come “tappabuchi”, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro». A pochi mesi dall’inizio del giubileo della Misericordia, il prossimo 8 dicembre, Bergoglio ha chiesto poi un cambio di rotta: «C’è bisogno di avere pazienza e saper perdonare, senza criticare». Il modello da seguire, ha concluso Francesco, «è quello di una madre che non sparla dei suoi figli, altrimenti, come si dice nella lingua italiana, diventa matrigna».
18 maggio 2015