Il “tesoro” di Matteo Messina Denaro: oltre 4 miliardi di euro

Libera e Lavialibera fanno i conti in tasca al boss, che ha basato la sua leadership «sui soldi e sui rapporti con politica e massoneria». Aziende, conti, beni mobili e immobili: «È l’uomo della vecchia e della nuova mafia, tornato a cercare relazioni con il potere politico ed economico»

Aziende, conti correnti, beni mobili e immobili, sequestrati e confiscati in seguito alle attività investigative grazie a prestanomi, gregari, imprenditori, persone a vario titolo riconducibili a lui. In tutto, «un tesoro pari ad oltre 4 miliardi di euro in una provincia, quella di Trapani, dove la media dei redditi pro capite è tra le più basse d’Italia». A due giorni dall’arresto di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso catturato il 16 gennaio all’interno della clinica privata “La  Maddalena” di Palermo dopo 30 anni di latitanza, Libera e Lavialibera, la rivista dell’associazione, provano a fare i conti in tasca al boss della mafia trapanese, che ha basato la sua leadership «non soltanto sulla violenza, ma soprattutto sui soldi e sui rapporti con politica e massoneria».

Nell’analisi di Elena Ciccarello, direttrice de Lavialibera, «Matteo Messina Denaro ha sempre potuto contare su una fitta rete di protezione in Sicilia e nel Nord Italia, fatta non solo di gregari, ma anche di gente che conta. La sua latitanza è stata sostenuta da una rete di imprenditori di ogni settore, come se fosse a capo di una holding, una società che detiene quote di altre società – prosegue -. È l’uomo della vecchia e della nuova mafia, quella che ha abbandonato la parentesi della lotta aperta allo Stato per ritornare a cercare relazioni e collaborazioni con il potere politico ed economico-finanziario».

Il settore più “redditizio”: gli impianti eolici, con circa 1,5 miliardi sequestrati a Vito Nicastri. Nel portafoglio della “holding” di Messina Denaro anche altri 1,5 miliardi per i villaggi vacanze di Carmelo Patti e i 700 milioni confiscati nel 2013 nella grande distribuzione gestita da Giuseppe Grigioli, con oltre 43 punti vendita in provincia di Trapani e Agrigento, e i 500 milioni a Rosario Cascio, ritenuto il “cassiere” di Matteo Messina Denaro, contabilizzati nel settore dell’edilizia e costruzione.

«Il Re di Denaro – commentano da Libera – è una delle figure emblematiche di quello che rappresenta oggi il modello dalla mafia imprenditrice. Gli oltre 4 miliardi di euro sono solo una parte del suo ingente capitale economico cresciuto, anno dopo anno, grazie alla sua rete di fiancheggiatori fidati e soprattutto alla rete di protezione di gente che conta nel mondo della politica e della massoneria. Un capitale conosciuto – proseguono – che rappresenta solo una minima parte di quello “occulto” nascosto in libri contabili e investimenti in giro per Italia e all’estero grazie alla complessa e articolata catena di figure che in questi anni gli hanno consentito di gestire investimenti e operazioni di riciclaggio, individuando sempre nuovi settori economici nei quali muoversi».

Un’organizzazione reticolare, della quale parlava, poche ore dalla cattura del boss, il fondatore e presidente di Libera don Luigi Ciotti, evidenziando che «le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno», proprio in virtù di questo sviluppo di cui lo stesso Messina Denaro «è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il “cyber crime” riducendo al minimo l’uso delle armi». La sua latitanza, per il sacerdote, «è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria -, modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere».

Ancora, nelle parole di Ciotti, è necessario che emergano le «coperture su più livelli» che hanno consentito al boss di Cosa Nostra di sfuggire alla cattura per oltre 30 anni. «Solo così tanti familiari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio». In conclusione, un monito: «La lotta alla mafia non si arresta con Matteo Messina Denaro perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perché il codice genetico della mafia affida alla sua creatura un imperativo primario: quello di sopravvivere. Ce n’è un’altra infatti che cova, ha sempre covato – prosegue -. Nei cambiamenti storici che sono avvenuti, ci sono sempre delle ceneri che ardono sotto. Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma la continuità di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi».

18 gennaio 2023