La Via dolorosa che unisce Roma a Gerusalemme
I pellegrini della diocesi in visita alla Terra Santa, con l’Opera romana pellegrinaggi, hanno pregato per la pace. La mattinata si è conclusa al Notre Dame center con una cerimonia animata dalla corale “Magnificat”
Elicotteri e un pallone con telecamera sorvegliano dall’alto Gerusalemme. Le strade sono piene di pellegrini. Un odore di pane appena sfornato si spande per le vie. Mentre i canti della Via Crucis si mescolano ai rumori della città: i negozi, il mercato, i turisti. I pellegrini della diocesi di Roma in visita in Terra Santa con l’Opera romana pellegrinaggi hanno scelto la recita della Via Crucis come passaggio centrale del loro viaggio per chiedere la pace.
Una preghiera che si è fatta invocazione disperata, soprattutto dopo l’inasprirsi delle violenze. Un ponte da Roma a Gerusalemme per unire rive inconciliabili. Il percorso, iniziato al convento della Flagellazione, si è concluso alla basilica del Santo Sepolcro. Questo momento di preghiera ha sostituito il cammino di pace, intitolato a Giovanni Paolo II, da Betlemme a Gerusalemme, organizzato dall’Opera romana in collaborazione con il Ministero del turismo israeliano. Lungo il percorso della Via dolorosa, ramoscelli d’ulivo e mitra delle forze dell’ordine.
Padre Ibrahim Faltas, francescano economo della custodia di Terra Santa ha commentato: «È una massacro tra persone che non si conoscono nell’interesse di poche che si conoscono, ma non si massacrano tra di loro». Come diceva sempre Giovanni Paolo II cui questo cammino di pace è intitolato, «Se non c’è pace a Gerusalemme non c’è pace nel mondo. Questa città deve essere il luogo del dialogo, non dello scontro». Per le strade della Via dolorosa la lettura del Vangelo diventa parola viva. Le meditazioni, un seme per aprire l’orizzonte. «Apri il nostro cuore – recita una riflessione – per accettare la croce degli altri e condividere il dolore altrui». «La Via Crucis viene fatta tutti i venerdì – racconta, al termine della preghiera, monsignor Liberio Andreatta vicepresidente dell’Opera romana, che sta guidando il pellegrinaggio in Terra Santa – e c’è sempre qualche problema. Invece tutto si è svolto nel silenzio e senza incidenti».
La mattinata si è poi conclusa al Notre Dame center con una cerimonia, cui hanno partecipato anche le autorità israeliane, animata dalla corale dell’istituto Magnificat, composta da palestinesi. Ad aprire l’incontro la recita del salmo 122, letto in varie lingue, tra cui l’ebraico e l’arabo. In questa preghiera si chiede a Dio pace per Gerusalemme. Monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma, ha letto il messaggio del cardinale vicario Agostino Vallini. Il porporato ha messo in evidenza come visitare la Terra Santa significhi «calcare i luoghi dove la presenza di Dio si è fatta storia e le comunità dei credenti vivono la loro fede e la testimoniano».
Monsignor Giuseppe Lazzarotto, nunzio e delegato apostolico, durante l’incontro, ha sottolineato la maternità della Chiesa di Gerusalemme: «È il luogo dove tutti siamo nati. Una maternità – ha aggiunto – che si completa con la chiesa di Roma. La giornata di oggi è un tassello che compone il mosaico della pace che ha bisogno di ogni singola tessera per essere completo». Invece, monsignor William Shomali, ausiliare e vicario patriarcale, ha ricordato che al Notre Dame Center Giovanni Paolo II, nel 2000, ha piantato un ulivo. «Un gesto analogo – ha sottolineato – a quello di Papa Francesco quando ha invitato in Vaticano, l’8 giugno scorso, il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen insieme al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo. L’ulivo è simbolo e profezia perché è un albero che ha bisogno di anni prima di dar frutto. La pace è la stessa cosa: ci vuole del tempo, ma alla fine arriva». «Infatti – ha aggiunto monsignor Liberio Andreatta – a Gerusalemme la morte è stata sconfitta nella Risurrezione».
Nel pomeriggio una delegazione della diocesi di Roma ha reso omaggio allo Yad Vashem. Monsignor Lorenzo Leuzzi ha deposto una corona di fiori e fatto la cerimonia dell’accensione del fuoco. Gesti semplici avvenuti nel silenzio. Un silenzio che grida il dolore di milioni di innocenti, e viene rotto dallo scorrere dei nomi dei bambini morti nell’Olocausto.
Intanto il sole sta per sparire e illumina la città di un colore rosa, che dà un segno di speranza a un luogo che spesso si tinge di scuro. Forse non è un caso che le abitazioni siano chiare rivestite della roccia calcarea tipica della zona che rende così luminosa la città. Un segno di resistenza e di speranza al buio dell’odio e del conflitto. Inoltre, monsignor Lorenzo Leuzzi ha mandato un telegramma al cardinale vicario Vallini per informare il Papa della Via Crucis. In questo si legge: «Abbiamo camminato per le vie di Gerusalemme lungo la strada che Gesù percorse portando la Croce con la quale ha riconciliato i popoli con Dio e fra di loro, chiedendo, per questa terra benedetta da Dio, giorni di concordia e serenità e un futuro di fraternità».
21 novembre 2014