Nell’intera area metropolitana gli immigrati sono 530mila

Per padre Ripamonti non sono numeri inaffrontabili. Il Centro Astalli ne ha accolti 20mila in un anno. Felicolo, Migrantes: «Migranti protagonisti del bene»

Per padre Ripamonti non sono numeri inaffrontabili. Il Centro Astalli ne ha accolti 20mila. Felicolo, Migrantes: «Migranti protagonisti del bene» 

«Basta prendere i mezzi pubblici per vedere che Roma è già una città multiculturale e multireligiosa, dislocata dal centro alle periferie». Per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, «nonostante questo quadro variegato, la Capitale si pone come un monolite sotto attacco». Il gesuita lo ha detto intervenendo all’incontro di sabato “Roma, città multiculturale” organizzato in collaborazione tra l’Ufficio Migrantes e il Centro per la Cooperazione Missionaria tra le chiese della diocesi. Insieme a lui, al Seminario Romano Maggiore, con la moderazione di Paola Springhetti, docente dell’Università Salesiana, ha portato la sua esperienza Carlo Cellamare, docente di ingegneria urbanistica della Sapienza. In chiusura sono intervenuti monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare per il settore Sud, e monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’ufficio Migrantes diocesano.

«Dietro a molte notizie che circolano in rete quasi sempre c’è una strumentalizzazione politica» ha detto Springhetti. La prima dimostrazione che l’immigrazione non sia una montagna inaffrontabile la danno i numeri: «I migranti sono il 12% degli abitanti dell’area metropolitana» ha aggiunto, 530 mila persone: «oltre alla Caritas e ai centri di accoglienza c’è una mobilitazione generale. Dopo l’invito di Papa Francesco, 5mila richiedenti asilo sono stati accolti nelle parrocchie e 500 nelle famiglie, un numero in crescita. L’idea che mi sono fatta è che i singoli non possono affrontare l’accoglienza, ma la società può farlo».

Padre Ripamonti ha portato l’esempio del Centro Astalli: «Dal centro l’anno scorso sono passate 20 mila persone, ogni giorno serviamo 300 pasti. La narrazione è che arrivano i migranti e stanno modificando l’assetto urbano, ma non è così». Il gesuita ha spiegato infatti che il nuovo sistema di accoglienza diffusa, fatto di parrocchie e piccoli centri, va incontro al problema senza formare assembramenti incontrollati: «In questo modo è addirittura possibile creare accoglienza in centro, lì dove magari neanche i romani abitano più». Un nuovo modo di vedere la città: «Chi si isola, diceva il cardinale Martini, è destinato a fuggire all’infinito».

«Le periferie sono luoghi ultimi ma sono luoghi che hanno da insegnarci qualcosa», ha detto poi Cellamare. «Lavoro da tre anni a Tor Bella Monaca. La situazione è complessa, c’è lo spaccio, non c’è sicurezza, ma nascono associazioni di mamme per cercare di combattere queste situazioni». La cultura si è decentralizzata: «Pensiamo al Colosseo e ai quartieri periferici. Mentre lì si va a comprare un biglietto per fare una visita, nei quartieri malfamati nascono gruppi che si occupano di musica, di poesia. Le periferie sono diventate luoghi di produzione culturale, mentre il centro di consumo».

All’incontro hanno partecipato
molti cappellani delle comunità etniche di Roma. Loro in prima linea si occupano delle situazioni più gravi, nel quotidiano curano la convivenza, dando vita a scuole di lingua e attività culturali con ampia partecipazione. Per monsignor Felicolo, proprio qui nasce il primo stimolo all’integrazione: «È preziosissimo il ruolo che svolgono nella nostra città».

«I migranti sono protagonisti del bene, hanno una progettualità creativa e bisogna riconoscerglielo». Dello stesso parere monsignor Lojudice: «Ritengo che le parrocchie siano una grande potenzialità. L’accoglienza non è semplice, ricordiamoci che strutturalmente i locali parrocchiali non nascono per questo. Bisogna trovare gli ambienti più indicati per portare avanti questo tipo di attività». Tuttavia, con tutte le loro difficoltà, «le periferie sono sempre state e resteranno luoghi di speranza».

20 febbraio 2017