Ruzza: «Esigenza dell’accoglienza non procrastinabile»
Inaugurati “I giardini della memoria e dell’accoglienza” in piazza Gian Lorenzo Bernini, a San Saba. Centro Astalli pianta un albero di alloro
Un giardino per non dimenticare chi ha perso la vita in mare mentre cercava di raggiungere l’Europa. Per tenere vivo il ricordo di uomini, donne e bambini di cui si ignorano i nomi ma dei quali si sa per certo che fuggivano da miseria, guerre e persecuzioni sognando un futuro migliore. Questa mattina, mercoledì 3 ottobre, il Centro Astalli ha piantato un albero di alloro e inaugurato “I giardini della memoria e dell’accoglienza” in piazza Gian Lorenzo Bernini, a San Saba.
Dal 2016 il 3 ottobre si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione istituita dal Senato con la legge 45 per ricordare i migranti morti a poche miglia dal porto di Lampedusa il 3 ottobre 2013 e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà. Il naufragio del peschereccio libico, sul quale secondo i testimoni erano stipate 545 persone, in gran parte eritrei, causò la morte di 368 stranieri, per lo più donne e bambini. Venti i presunti dispersi. È considerata una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. I superstiti furono 155, di cui 41 minori, uno solo accompagnato dalla famiglia.
“I giardini della memoria e dell’accoglienza” sono stati inaugurati nelle altre sei città in cui opera il Centro Astalli. Come a Roma anche a Trento, Vicenza, Padova, Napoli, Catania e Palermo si sono riuniti rifugiati, volontari, studenti e abitanti del quartiere non solo per riflettere sulle tragedie che ancora oggi si ripetono nel Mediterraneo ma anche per celebrare chi quotidianamente si impegna per accogliere e aiutare i migranti. Il giardino di Roma si trova di fronte al centro di accoglienza San Saba, il primo aperto 30 anni fa dal centro Astalli. Ospita 40 persone tra rifugiati e richiedenti asilo.
Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha spiegato che è stato scelto un giardino pubblico nel cuore di Roma perché tutta la cittadinanza, i residenti del quartiere e i cittadini stranieri arrivati da poco «devono assumersi la responsabilità dell’accoglienza e della memoria». Un nuovo albero piantato in un giardino rappresenta un elemento in più che aumenta la diversità e rispecchia «l’invito all’accoglienza delle diversità ma anche a prendersi reciprocamente cura dei nuovi arrivati e di chi già risiede nel quartiere». Il sacerdote gesuita ha sottolineato che in tema di migrazioni il dialogo con le istituzioni «è sempre aperto» perché è fondamentale «la collaborazione con tutti e a tutti i livelli». In questo particolare momento storico in cui «venti di intolleranza soffiano sull’Italia e sull’Europa» ha ribadito l’importanza di porre al centro le persone «il loro salvataggio, l’accoglienza che non deve mai venire meno e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti».
Il vescovo del settore centro, Gianrico Ruzza, ha spiegato che scopo della celebrazione è quella invitare i cittadini «a fare memoria del passato in un luogo molto bello e significativo. Abbiamo il dovere morale e civile di non dimenticare gli eventi drammatici accaduti». Per il vescovo il fenomeno migratorio non va visto con preoccupazione ma è un’opportunità e invitare gli studenti a riflettere su questo vuol dire «essere responsabili perché la città dovrebbe tornare ad essere sempre di più un luogo di accoglienza, di vita, di speranza e di integrazione. Se vogliamo continuare ad annunciare il Vangelo inculturandolo nel tempo che viviamo dobbiamo essere coraggiosi testimoni dell’accoglienza facendo sempre in modo che sia compatibile con la serenità e la quotidianità di chi vive nelle nostre città. Il Vangelo non va messo in secondo piano e l’esigenza dell’accoglienza non è procrastinabile».
Tra i cittadini presenti anche Fabrizio Fantera, figlio di Bruno che nel ’43 nascose in casa sua una famiglia di ebrei. «Chi teme tanto la convivenza dovrebbe venire qui – ha detto – Questo quartiere è un luogo vivo dove convive tranquillamente la diversità di tante persone». Franck Tayodjo, 41 anni, originario del Camerun ha letto una poesia trovata nel taccuino di Zaher Rezai, un bambino afghano trovato a Mestre l’11 dicembre 2008 schiacciato dal tir sotto cui era nascosto. Franck è in Italia da 16 anni è arrivato nascosto nella stiva di un aereo e il viaggio gli ha causato danni irreversibili ad un timpano.
«Quando ho letto la poesia mi sono chiesto perché io ce l’ho fatta e lui no – ha affermato – mi sono sentito in colpa ma il mio compito è non dimenticare e spiegare alle persone che chi lascia il proprio Paese non lo fa mai serenamente ma è costretta a fuggire via». Per il capogruppo del Pd in Campidoglio, Gliulio Pelonzi, le istituzioni «hanno senso se promuovono l’umanità a 360 gradi in città come Roma dove si stanno verificando gravi intolleranze» mentre Sabrina Alfonsi, presidente del I Municipio il compito delle istituzioni «è creare percorsi nuovi per offrire una nuova vita a chi si ritrova lontano da casa». Presenti alla cerimonia anche i familiari di alcuni partigiani e il parroco di San Saba, padre Sergio Cavicchia.
3 ottobre 2018